Martin Freeman: quattro ruoli da non perdere (e un bonus)
Martin Freeman
«My idea of a good night out is staying in».
Fantastici quattro
Mi piace, Martin Freeman. Mi piace il suo stile e mi piacciono i ruoli maggiori affidatigli e che lo hanno portato sul grande e piccolo schermo con una certa maestria. Incredibile, poi, parlando di un attore inglese, dover saltare a pie’ pari tutta la parte dedicata al teatro, comunque calcato prima del successo internazionale, per concentrarci su quattro perle della sua carriera che reputo fondamentali. I fantastici 4 sono due film e due serie televisive: a quanto pare, il piccolo schermo gli è congeniale tanto e forse più di quello grande.
Il format di successo
Una delle più riuscite interpretazioni di Steve Carrell è quella del manager Michael Scott, all’interno della serie The Office. Si tratta di un remake a Stelle & Strisce dell’originale inglese, nel quale Martin Freeman aveva il ruolo di Tim Canterbury, mentre quello del mattatore era riservato a Rick Gervais. La serie inglese aveva alcune differenze con quella statunitense, ma lo humor è identico, così come la verve.
Caso unico che raro, il remake americano non fa rimpiangere affatto l’originale, che resta comunque inarrivabile. La differenza la fanno gli attori e Martin Freeman duetta alla perfezione con un Gervais in ottima forma. Tanto è il successo, che The Office riceve altre due remake, uno francese e uno tedesco. La versione italiana non è stato possibile realizzarla, perché Favino e Germano erano troppo impegnati e gli sceneggiatori troppo assenteisti…
Soluzione al 50%
Steven Moffat fu fortemente elogiato per il suo lavoro di showrunner della serie Doctor Who e, nel 2010, portò sullo schermo anche un prodotto televisivo dedicato a Sherlock Holmes. Ambientato in epoca odierna, ma ispirato dai racconti di Sir Arthur Conan Doyle, Sherlock vede protagonisti Benedict Cumberbatch nel ruolo di Sherlock Holmes e Martin Freeman in quello del Dottor Watson, suo inseparabile compagno di avventure.
Capace d’ammodernare il mito del detective più grande della storia, Sherlock riesce a esprimere una propria personalità, dando la parola soprattutto ai personaggi e, tra questi, a un Watson che acquista maggior carisma e scena, passando da spalla a co-protagonista. Il lavoro è impeccabile e non a caso la serie si rivelò uno dei maggiori successi del piccolo schermo. I due protagonisti, poi, continueranno a duettare anche fuori dalle atmosfere di Sherlock: fanno innanzitutto parte entrambi dell’MCU, nei panni del Dottor Strange uno e d’agente di collegamento tra USA e Wakanda l’altro ma, soprattutto, battibeccheranno ancora in un film, ma in ruoli completamente contrapposti.
Un duetto inaspettato
Reduce dal successo della trilogia de Il Signore degli Anelli, Peter Jackson prova a bissare e porta sullo schermo Lo Hobbit, adattato ancora in una trilogia, con molte libertà creative rispetto al romanzo originale. Martin Freeman interpreta Bilbo Baggins, lo hobbit che s’impadronirà dell’Unico Anello in barba a Gollum.
Lo Hobbit narra di come Bilbo abbia aiutato i Nani di Erebor a riconquistare la loro terra, strappandola dagli artigli del terribile drago Smaug. Bilbo e il drago avranno modo di scontrarsi verbalmente: la voce originale di Smaug è proprio di Benedict Cumberbatch, per un effetto dejà-vu che sicuramente ha perso chi vide il film doppiato. La trilogia de Lo Hobbit non mi è piaciuta moltissimo, ma quella scena tra Bilbo e Smaug, devo ammettere, è decisamente ben riuscita.
Il suo english humor non l’abbandona mai, vedo
Chiudo con un film che non ha avuto, invece, il successo che secondo me avrebbe meritato e che vede Martin Freeman come protagonista, nei panni di Arthur Dent. Lo sventurato si ritrova a essere strappato dalla sua casa e dal suo pianeta, potendo portare con sé solo un’asciugamano. Se siete nerd meritevoli, avete già capito che parlo della riduzione cinematografica di Guida Galattica per Autostoppisti, del compianto Douglas Adams.
Come nel libro da cui trae materiale molto fedelmente, il film è un concentrato di humor inglese e di sottile ironia. Non porta a ridere a crepapelle in una sola grande esplosione, ma fa sorridere costantemente per tutta la sua durata. Vi consiglio di leggere tutta la serie di cinque romanzi e poi vedere il film, ma potete anche vedere il film e poi leggere i romanzi: l’effetto sarà lo stesso.
Fuori concorso
Prima di chiudere, non posso ignorare le collaborazioni di Martin Freeman con Simon Pegg ed Edgar Wright nei film L’alba dei morti dementi, Hot Fuzz e La Fine del Mondo. Si tratta ancora di titoli caratterizzati da una forte ironia, di parodie raffinate ben lontane dai toni beceri cui siamo abituati, come la serie dei vari Scary Movie, per fare un esempio, e prendono in giro un genere, l’Horror, per cui si vede quanto rispetto nutrano. Lo stesso, probabilmente, che nutriamo noi.