Dario Argento: c’era una volta il maestro dell’Horror
Dario Argento
«Sono molte le cose che mi fanno paura e che mi creano angoscia. Se così non fosse, del resto, non avrei scelto di diventare un regista di film horror».
Il cinema di genere
C’è stato un momento preciso nel quale il cinema italiano di genere era, per quanto povero di mezzi, non dico meraviglioso, ma almeno godibile. Tutti quei film horror degli anni ’70, quelli fatti con due lire e molte idee, per quanto trash (o forse proprio perché trash), sono diventati cult per noi e per tutti quanti cercavano il film brutto ma bello. I nostri zombie erano ridicoli; i nostri mostri dallo spazio profondo sembravano usciti direttamente da un carro di cartapesta; i nostri serial killer con poco o nessuno spessore. Ma non era sempre così.
Un nuovo linguaggio
A volte, nel mare delle produzioni a basso costo, arrivavano anche idee nuove o, semplicemente, nuovi modi di declinare il linguaggio cinematografico. Ed è proprio il caso di Dario Argento. Con una carriera di sceneggiatore e critico cinematografico alle spalle, quando firma il suo primo film nel 1970, ha già goduto di fonti d’ispirazione importanti.
Prime fra tutte, i western di Sergio Leone, le cui inquadrature riporterà nel genere che gli sarà congeniale fin dall’inizio, quello del thriller. L’uccello dalle piume di cristallo, nonostante mostri già le tematiche future di tutta la cinematografia di Dario Argento, alla sua uscita è accolto in maniera piuttosto tiepida e solo successivamente esplode, incassando più di 1 miliardo di lire. Il regista è povero di esperienze sul campo, ma ha già un occhio discreto, che affinerà con le opere successive.
La consacrazione
Maestro della suspense, le sue carte le gioca in maniera molto più convincente già nel secondo film, Il Gatto a Nove Code, che lo consacra. Punto di partenza e d’arrivo per entrambe le opere è il cosiddetto whodunit, cioè quel particolare tipo di giallo nel quale sia gli spettatori che i protagonisti hanno gli stessi elementi per identificare il colpevole. Così una soggettiva, un particolare in primissimo piano o un qualcosa che vediamo o sentiamo diventano indizi preziosi e il ragionamento deduttivo dei personaggi del film è aperto anche a noi.
Profondo Argento
La tecnica funziona benissimo nel giallo e anche quando Dario Argento passa all’horror la sua presenza rimane quasi una costante. Questo passaggio avviene, ovviamente, con Profondo Rosso, nel quale fin dall’inizio è possibile scorgere il volto del killer, riflesso in uno specchio. Sono anni d’oro per Dario Argento, il quale inanella un successo dopo l’altro e il suo stesso nome diventa sinonimo dell’horror italiano e, per esteso, di qualità. Titoli come Suspiria o Phenomena sono ormai diventati iconici e ancora oggi sono tra i più citati nelle opere di registi di tutto il mondo.
Il problema è che poi il mondo è andato avanti, mentre Dario Argento sembra essersi fermato ai suoi anni migliori. Se il pubblico degli anni ’70 poteva sopportare una certa incoerenza narrativa, quello moderno la digerisce male e spesso la condanna senza pietà. È indubbio che il regista abbia iniziato una pericolosa discesa, tendenzialmente a picco, sul finire degli anni ’80, toccando il punto più basso con il suo Dracula 3D. Effetti speciali al limite del ridicolo, recitazione bassa anche quando parliamo di attori d’esperienza come Rutger Hauer, nei panni di Van Helsing, ma soprattutto un’assoluta mancanza d’innovazione.
Se agli albori della sua carriera la soggettiva degli occhi del cattivo, intento a predare la vittima, era efficace nell’aumentare la tensione, oggi le stessa tecnica non solo ha fatto scuola, ma ormai è diventata superflua e spesso disturbante. La possiamo sopportare come citazione autoreferenziale, ma non possiamo dire che sia utile a una narrazione comunque sciatta e stanca.
Questione di gusti
Non credo che Dario Argento abbia perso lo smalto, semplicemente i tempi sono cambiati, al pari dei ritmi. Se George Miller lo ha capito, tanto da girare un nuovo Mad Max che dell’originale conserva lo spirito, trasponendolo ai nostri giorni, il regista romano, purtroppo, pare di no. Non è cambiato e quanto faceva negli anni passati lo fa ancora adesso, con la stessa identica maestria. È, però, il nostro gusto a essersi modificato.
Rimane indubbio che Dario Argento abbia fatto scuola anche all’estero, influenzando il gusto di registi che ancora sono sulla cresta dell’onda, come Quentin Tarantino, il quale più volte nei suoi film ha omaggiato il maestro. Ma vivere di rendita è difficilmente perdonabile, tanto più visti i fasti del passato. Continuare a osannare Dario Argento sarebbe come studiare la storia in libri scritti prima della Seconda Guerra Mondiale, scordandosi tutto quanto sia successo nel frattempo.
Un Maestro
Lo diciamo con amarezza e rispetto: è stato un Maestro indiscusso del cinema di genere, nel Thriller e pure nell’Horror; ha portato innovazione e ci ha dato modo d’essere orgogliosi, perché è servito come punto di partenza per molti registi della generazione successiva. Ma forse è sopravvissuto al suo tempo. Tutto quanto ha insegnato è tesoro e lo abbiamo fatto nostro, ma ormai molti allievi lo hanno superato. Rimane un’icona e lo ricorderemo sempre per i suoi primi film, certo non per gli ultimi.