Richard Pryor: la vita e la carriera del comico irrequieto
Richard Pryor
«Everyone carries around his own monsters».
Il comico irrequieto
Torniamo sempre agli anni ’80 perché, vuoi o non vuoi, siamo figli di quell’epoca. Il tempo è andato avanti e molti protagonisti di quella decade sono ormai invecchiati o purtroppo non ci sono più, come Richard Pryor. Avere l’occasione di parlarne è un gioco a due vie. Da una parte ci sono io e il mio ricordo di quegli anni, dall’altra ci siete voi coi vostri ricordi personali. Trait d’union è un determinato film o un altro ancora e, trattandosi di Richard Pryor, ne vengono in mente almeno cinque o sei.
Un’infanzia difficilissima
Per parlare di queste pellicole, dobbiamo prima vedere i passi iniziali della carriera dell’attore afroamericano, ripercorrendone partenza e tappe. Possiamo dire che Richard Pryor è praticamente cresciuto nel bordello nel quale lavorava sua madre. A 10 anni fu abbandonato e preso in consegna da sua nonna e sembra non perdesse mai l’occasione di picchiarlo. Niente di strano se il ragazzo sia cresciuto un po’ sbandato e sia arrivato a farsi espellere dal liceo. Tra l’altro, sembra che proprio in quel bordello abbia pure subito diversi abusi, già all’età di 7 anni.
Ma l’episodio forse più identificativo avviene mentre Richard Pryor presta servizio militare. È il 1959 e la truppa è di stanza in Germania. Pare fosse proiettato il film Lo specchio della vita e che un soldato, bianco, si divertisse parecchio durante alcune scene dai forti connotati razziali: la vicenda narrava anche di una bimba bianca, figlia di una donna di colore. Richard Pryor e alcuni amici non la prendono bene, lo pestano e lo accoltellano, anche se non mortalmente: il resto della naja, il nostro, lo passò in prigione.
Uno spirito difficile
Uno spirito difficile, insomma, e per alcuni sarà sorprendente scoprirlo, in considerazione della comicità con la quale Richard Pryor lega la sua carriera futura e affolla i nostri ricordi. Ma spesso è così: le fragilità fin troppo umane sono le fondamenta sulle quali i grandi riescono a costruire le proprie imprese, quando non ne sono soffocati. Nel caso dell’attore, dunque, si racconta dei suoi molteplici attacchi d’ansia prima d’andare in scena, continuati anche quando il suo percorso era già iniziato e ben sedimentato.
Gli esordi
Richard Pryor inizia a New York, esibendosi nei night club, per poi trasferirsi sui palchi di Las Vegas fino al 1967. In quell’anno, pare ebbe quella che egli stesso definì «un’epifania». Andò in scena, ad ascoltarlo c’era pure Dean Martin, solo per esclamare: «Che diavolo ci faccio qui?» e poi tornare dietro le quinte. Da quel momento, inizia a sporcare i suoi monologhi aggiungendo la parola «nigger» (negro) e schierandosi apertamente con la causa degli afroamericani.
È un tipo di comicità nata pure dall’esigenza di sensibilizzare l’opinione pubblica: avrà un seguito importante, testimoniato tra gli altri, da attori quali Eddy Murphy, Jerry Seinfeld e Whoopi Goldberg. Di più: è un tipo di comicità in grado di spalancargli le porte del successo. Nel 1974, però, nuovamente quelle del carcere, per 10 giorni, a causa di un’evasione fiscale.
Gli anni ’80
Negli anni ’80 (sempre quelli!), Richard Pryor ha già una decina di film alle spalle e altrettanti spettacoli. È conosciuto in tutti gli USA per la sua intemperanza, sul palco e fuori. Un esempio: nel 1980 sta girando Bustin’ loose e si concede alcuni giorni a base di crack, al termine dei quali si cosparge di rum e si dà fuoco, fuggendo poi in strada, dov’è fermato e soccorso dalla polizia. L’attore riporta ustioni su circa metà del corpo e passa le sei settimane successive in ospedale. Più tardi, durante un’intervista, dirà: «Ho provato a suicidarmi. Prossima domanda» e poi includerà il racconto dell’incidente in alcuni suoi show.
La spalla comica di Superman
Gettiamoci alle spalle queste zone d’ombra e arriviamo al primo film. Anno 1985, terzo episodio del Superman cinematografico: con una scelta discutibile, si decide d’alternare momenti di puro umorismo a parti più drammatiche. Richard Pryor è scelto come spalla comica, al punto da sembrarne quasi il protagonista assoluto, al posto della Grande S. Non ne esce un capolavoro e, anzi, le forti critiche aprono la strada ai Salkind, produttori della pellicola, per vendere i diritti a Cannon Films, che vomiterà nelle sale, nell’anno 1987, Superman 4. Ancora stiamo cercando di dimenticarlo.
Tornando al capitolo precedente, potete ricordare Richard Pryor nei panni di un genio del computer, capace di una colossale truffa telematica e della costruzione di un mega computer in grado di mettere in difficoltà l’ultimo figlio di Krypton. Ovvio come sia lo stesso attore afroamericano, assolutamente non caratterizzato da villain, a risolvere la situazione fino a salvare Superman e guadagnarne l’amicizia. Superman 3 è tutto sommato carino, ma decisamente segna l’inizio della fine per il supereroe DC. Non a caso, per Superman returns si prende spunto dalla seconda pellicola, tralasciando la terza e la quarta.
Le commedie
Altro film da ricordare è uno di quelli che a Natale andavano forte, fino alla prima metà degli anni ’90, ora invece spariti dai palinsesti. Chi più spende… Più guadagna è una commedia da rivedere ogni volta sia possibile, non solo per la presenza del compianto John Candy nel cast, ma soprattutto perché la scrittura è fresca, semplice e raffinata. Tratto da un romanzo di George Barr McCutcheon, narra le avventure dell’erede universale di una fortuna di 300 milioni di dollari: per averli, però, dovrà spenderne 30 in appena un mese e l’impresa non sarà facile come potrebbe sembrare. Una commedia fin troppo piacevole ed è strano come nessuno dei geniacci di Hollywood abbia pensato di farne un ennesimo remake: in fondo la storia circola in pellicola da almeno il 1914. Intendiamoci, vederla senza Richard Pryor sarebbe come vedere un Willy Wonka senza Gene Wilder… Ops! Sì, esiste, non l’avete sognato.
Il sodalizio con Gene Wilder
A proposito di Gene Wilder: con lui Richard Pryor lavorò intensamente, costituendo una coppia comica irresistibile in Non guardami, non ti sento (1989) e in Non dirmelo, non ci credo (1991): se il primo film segnò un successo strepitoso, il secondo rappresentò al contrario un piccolo flop, capace di perdere il 78% degli incassi al botteghino nel secondo week end di programmazione. I due mettono in scena personaggi e gag indimenticabili, caratterizzate dalla cecità e dalla sordità di uno e dell’altro.
Quando gira con Gene Wilder, a Richard Pryor è già stata diagnosticata la sclerosi multipla, che lo condurrà su una sedia a rotelle. L’attore, però, non smise mai di recitare, fin quando un attacco di cuore se lo prende, appena sessantacinquenne, il 10 Dicembre 2005: tra le sue ultime apparizioni, nel 1995 è nel serial Chicago Hope, proprio nel ruolo di un malato; nel 1997 lo troviamo in Strade perdute, di David Lynch; nel 2000 in Io, me e Irene, ma solo con immagini di repertorio.