Il mio Rembrandt | Quando l’arte non è per tutti | Recensione
Il voto di Nerdface:
3.5 out of 5.0 stars
Titolo originale | – |
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Lingua originale | inglese olandese |
Paese | Olanda |
Anno | 2019 |
Durata | 97 minuti |
Uscita | 6, 7, 8 Giugno 2022 |
Genere | Arte Documentario |
Regia | Oeke Hoogendijk |
Sceneggiatura | Oeke Hoogendijk |
Fotografia | Gregor Meerman Sander Snoep |
Musiche | Juho Nurmela Alex Simu |
Produzione | Discours Film |
Distribuzione | Nexo Digital |
Cast | – |
Il voto di Nerdface:
3.5 out of 5.0 stars
«Rembrandt non era un pazzo, voleva solo superare il limite»
È un Rembrandt insolito, quello di Il mio Rembrandt. Non è infatti il Rembrandt consueto, quello per così dire mainstream, di chi ha potuto apprezzarlo nelle collezioni del Rijksmuseum di Amsterdam o del Louvre. Non è il Rembrandt della Ronda di notte o dell’autoritratto della National Gallery di Londra. Protagonista di questo documentario di Oeke Hoogendijk, regista olandese non nuova a questo tipo di operazioni, avendo diretto in precedenza il documentario The new Rijksmuseum in cui si seguiva la ristrutturazione del Rijksmuseum di Amsterdam lungo un periodo di dieci anni, è infatti il Rembrandt degli appassionati e dei collezionisti. Dal Duca di Buccleuch, al Barone Rothschild, da Thomas Kaplan a Jan Six.
Collezioni private
Si parte proprio dal Duca di Buccleuch, Richard Scott, uno dei più grandi proprietari terrieri d’Europa e il più grande del Regno Unito. Nella sua maestosa residenza scozzese, il castello di Drumlanrig, ospita oltre a un Da Vinci trafugato nel 2003 e poi recuperato, uno dei dipinti più affascinanti di Rembrandt, almeno tra quelli rimasti appannaggio delle collezioni private. Si tratta de La vecchia leggente, ritratto di un’anziana signora che niente sembra poterla distrarre dall’assorta lettura cui è dedita.
Un dipinto straordinario
Un dipinto straordinario, cui il Duca si rivolge rispettosamente come a un’austera coinquilina e compagna di letture. Il documentario inizia proprio al castello di Drumlanrig, con le suggestive immagini in notturna della residenza nobiliare scenograficamente illuminata e con il Duca che s’accinge, quasi come in un rito, a chiuderne le porte. Al castello si reca il curatore del Rijksmuseum, in quello che sembra un periodico pellegrinaggio verso un oggetto del desiderio destinato a rimanere tale per chissà quanto altro tempo. Difficile, infatti, che il Duca, le cui finanze sono ovviamente in ottima salute, voglia liberarsi di quell’opera che considera alla stregua di una componente della famiglia.
La regista sa bene che sono sufficienti un paio di inquadrature di dettaglio del viso della vecchia donna per far capire anche ai neofiti la straordinaria perizia di un artista come Rembrandt, la magia che si cela dietro le sue pennellate veloci, ma sicure. E su quei dettagli pertanto insiste, in più occasioni, senza tuttavia risultare mai ridondante. Eppure non è l’arte di Rembrandt a essere protagonista di questo film. O, almeno: non direttamente. Lo è nella misura in cui quell’arte diventa passione di uomini del nostro tempo, i collezionisti privati che si affannano a cercare o ad accumulare opere del maestro olandese.
Da dietro a davanti la tela
Il secondo di essi è Jan Six, ultimo discendente di una storica famiglia il cui capostipite fu ritratto da Rembrandt in un famoso dipinto, attualmente facente parte della collezione privata della casa. È su di lui, giovane elegante, grande intenditore e studioso d’arte, che si incentra la linea narrativa principale, che nel finale arriva a sfiorare, con un plot twist inatteso, i contorni del thriller.
Un nuovo Rembrandt?
Nelle more della narrazione, infatti, Jan Six XI scopre un nuovo Rembrandt, acquistandolo all’asta da Christie’s, dove era stato messo in vendita come un dipinto del circolo degli allievi del Maestro. Con una cifra relativamente modesta, 110.000 sterline, Jan Six si porta così a casa un dipinto del valore potenziale di decine di milioni di dollari. Ma c’è il problema d’autenticare un’opera che per Jan Six è sicuramente di Rembrandt, ma che sinora non lo è stata per quamti avevano avuto modo di esaminarla. A farlo sono chiamati il più grande studioso vivente del pittore olandese e gli esperti del Rijksmuseum che, dopo un iniziale tentennamento, la ritengono opera del Maestro.
Se questo può essere, nell’economia del documentario, un chiaro momento di suspense, gli stilemi narrativi del thriller, più che quelli tecnico-stilistici, quasi del tutto assenti in un lungometraggio fortemente descrittivo come questo, devono però ancora palesarsi. Quando Jan Six inizia a scrivere libri e a fare conferenze per ricevere tutti gli onori di una scoperta epocale per il mondo dell’arte, emerge dal nulla un suo socio d’affari, che gli rovina la festa, accreditandolo agli occhi dei media come ingannatore e opportunista, avendo egli disatteso un accordo sul quadro che, apparentemente, esisteva tra i due. Un turning point che arriva a gettare un po’ d’inatteso scompiglio. Nulla d’orchestrato, almeno sembra, dato che Il mio Rembrandt seguiva quelle vicende da tempo, senza sospettare nulla in proposito.
Altri personaggi particolari
Le altre due sottotrame del documentario, secondarie ma con alcuni riflessi su quella principale, hanno a che vedere con il barone Eric de Rothschild, costretto a vendere due dipinti del Maestro olandese per far fronte alle esose imposte di successione vigenti in terra di Francia, e col miliardario e imprenditore Thomas Kaplan che, dopo una vita passata ad accumulare ricchezze, pare essersi convertito in filantropo che acquista opere d’arte da collezioni private per esporle nei musei. Un intento sicuramente nobile e una passione che appare genuina, in un personaggio che tuttavia non fa nulla per nascondere una certa ambiguità.
Un incidente diplomatico
Anche la sottotrama Rothschild ha degli spunti che richiamano il thriller, in questo caso politico e sempre sotto un profilo strettamente narrativo: quando i Baroni decidono di vendere i due Rembrandt, si scatena un piccolo incidente diplomatico tra Francia e Paesi Bassi. Dopo un iniziale tentativo di collaborazione tra Museo del Louvre e Rijksmuseum, per un acquisto in comunione della coppia di dipinti, per i quali i Rothschild chiedono l’ingente cifra di 160 milioni di euro, e dopo che a fianco delle istituzioni museali scende in gioco la politica, i due Paesi arrivano ai ferri corti, con la Francia che non intende far uscire dai suoi confini quelle due opere d’arte, che pure albergavano in un’abitazione privata della Capitale.
Il compromesso infine è raggiunto, con un po’ d’amaro in bocca per gli olandesi, che avevano accarezzato la concreta possibilità di riportare a casa entrambe le opere. Ed ecco dunque le foto di rito al Louvre, nuova casa temporanea dei due ritratti, destinati all’esposizione alternata tra Parigi e Amsterdam, alla presenza del Presidente Hollande e dei reali d’Olanda. Un po’ di sana ipocrisia, in un documentario sicuramente sui generis, che affianca alle preventivate tematiche artistiche l’illustrazione di un contesto vagamente classista, che ricorda come l’arte sia anche e, per alcuni aspetti, soprattutto una questione di soldi, appannaggio esclusivo di eccentrici collezionisti miliardari.
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Titolo originale | – |
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Lingua originale | inglese olandese |
Paese | Olanda |
Anno | 2019 |
Durata | 97 minuti |
Uscita | 6, 7, 8 Giugno 2022 |
Genere | Arte Documentario |
Regia | Oeke Hoogendijk |
Sceneggiatura | Oeke Hoogendijk |
Fotografia | Gregor Meerman Sander Snoep |
Musiche | Juho Nurmela Alex Simu |
Produzione | Discours Film |
Distribuzione | Nexo Digital |
Cast | – |