Blade runner e la profezia avverata sulla città del futuro
Blade runner
«I’ve seen things you people wouldn’t believe. Attack ships on fire off the shoulder of Orion. I watched C-beams glitter in the dark near the Tannhäuser Gate. All those moments will be lost in time, like tears in rain. Time to die».
Titolo originale | Blade runner |
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Lingua originale | inglese |
Paese | Hong Kong USA |
Data d’uscita | 25 Giugno 1982 |
Durata | 124 minuti |
Genere | Fantascienza |
Regia | Ridley Scott |
Cast | Harrison Ford Rutger Hauer Sean Young Daryl Hannah Brion James Joanna Cassidy Edward James Olmos M. Emmet Walsh Joe Turkel William Sanderson Morgan Paull James Hong Hy Pyke Ben Astar |
Un manifesto
Nel suo celebre saggio La crisi della modernità, David Harvey, noto antropologo e geopolitico inglese, definisce la città come «il luogo in cui realtà e immaginazione semplicemente devono fondersi». Così, l’ambiente umano per eccellenza ha spesso finito per contaminare storie di cui avrebbe dovuto essere mera cornice e, in ambito cinematografico, ad assurgere a ruolo di protagonista assoluta delle vicende giungendo, secondo Claudio Asciuti, docente e scrittore vincitore del Premio Urania, «ad apparire un’entità viva, dotata di un proprio respiro e un proprio battito che, per il ruolo attribuitole dall’organizzazione terrestre, diventa man mano metafora concreta della degradazione o della resurrezione umana».
Le tante rappresentazioni cinematografiche
Questa visione, non esclusiva della Fantascienza, è stata anticipata nel 1927 da Fritz Lang, col suo Metropolis, e poi è divenuta nel tempo icona ignara e decadente dello spazio dell’uomo in 2022: i sopravvissuti, prigione a cielo aperto in 1997: fuga da New York, o virtuale in Matrix, feudo post apocalittico in Mad Max: oltre la sfera del tuono, o dominato dal crimine in Robocop.
Il capolavoro di Ridley Scott
Ma la città che più di tutti s’avvicina a quella della nostra contemporaneità, tra le numerose immaginate dal cinema o dalla letteratura, è sicuramente quella di Blade runner. Emblema del post-modernismo, invecchiato come un vino eccellente rispetto a pellicole altrettanto famose di quegli anni, il capolavoro di Ridley Scott del 1982 è oggi ampiamente riconoscibile in tutte le grandi città globalizzate.
Multilinguistica, permeata a ogni livello, dallo stile alla cucina, dalla moda alle dimensioni verticali degli edifici, la città profetizzata nel romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? di Philip K. Dick è la nostra città, fatta eccezione per il ritardo sull’avvento delle auto volanti, comunque ormai prossime a superare il traguardo dell’orizzonte degli eventi.
La Los Angeles immaginata
In questo 2019 ormai fagocitato dalla realtà, Los Angeles è una megalopoli soffocata da nebbie inquinanti e piogge acide, sviluppata in una riproduzione della visione dantesca, in cui nei bassifondi sopravvive l’umanità reietta, mentre verso il cielo dominano i padroni semi-divini della società. In questa realtà in cui tutto è finto, come da canone dickiano, il simulacro diventa onnipresente testimonianza della fusione tra tecnologia e genetica, dagli animali alle persone.
I replicanti
Il progresso ha infatti reso possibile la nascita dei replicanti, androidi identici agli esseri umani ma dotati di maggiori abilità e resistenze, per sostituire i loro creatori nei lavori in condizioni estreme, come l’esplorazione spaziale, o nelle mansioni umilianti come la prostituzione. Quattro modelli Nexus 6, i più evoluti in circolazione, fuggono dalle Colonie Extramondo per dirigersi sulla Terra. Il loro obiettivo è rintracciare il loro creatore, per costringerlo a prolungare il loro arco vitale, prossimo all’esaurimento.
I replicanti, infatti, nascono adulti e, secondo le parole del leader della Tyrell Corporation, l’azienda che li mette al mondo, bruciando come candele accese sui due lati sprigionano il doppio della luce, al prezzo di un rapido, ardente declino. Per evitare che queste creature superiori soppiantino i loro creatori, i replicanti hanno una durata standard di quattro anni, durante i quali imparano sentimenti, accumulano ricordi che si aggiungono a quelli artificiali, indotti per fornire loro un migliore equilibrio psicologico, fino al sopraggiungere della morte.
Un Harrison Ford da podio
Tuttavia questi hanno sviluppano anche un poderoso istinto di conservazione, che li porta a voler scongiurare questo infausto destino. A qualunque costo. Rick Deckard, splendidamente interpretato da un Harrison Ford da podio, con Han Solo e Indiana Jones, è un ex sbirro della sezione Blade runner, ossia un cacciatore di replicanti, incaricato di ritirare questi lavori in pelle prima che questi possano fare troppi danni.
Per distinguere un umano da un replicante si ricorre a una serie di test psico-attitudinali, che dovrebbero rivelare l’artificiosità dei loro ricordi.
Rachel
Oltre ai quattro, Deckard si confronta con la splendida Rachel, modello Nexus ancora più sofisticato, che cerca, per ingenuità o autodifesa, di convincerlo della concretezza della sua infanzia grazie a una foto che la ritrae da bambina. Nel confronto scontro coi replicanti, Deckard si renderà conto che questi esseri artificiali possono rivelarsi più umani dei loro stessi creatori, nel bene e nel male.
Il vero successo dell’opera è quindi, ancora secondo Harvey, nel raggiungimento di un contesto variopinto e complesso, composto dai motivi di digressione che alimentano il mondo in cui si muovono i personaggi: «Blade runner è una parabola fantascientifica in cui i temi post-modernisti, collocati in un contesto di accumulazione flessibile e di compressione spazio-temporale, sono esplorati con tutto il potere d’immaginazione di cui il cinema è capace». Così, oltre al tema del replicante assistiamo all’evoluzione della visione metropolitana, che ha influenzato tutti i successivi tentativi di focalizzazione della città del futuro, sino a divenire oggi quella stessa realtà in cui «il caos è tollerato, proprio perché non sembra minaccioso per il controllo globale».
Il celebre monologo finale
Il monologo finale, improvvisato e teatrale di Roy Batty, leader dei replicanti interpretato da un insuperabile Rutger Hauer, dà al senso del film quel tocco di melanconia che rende la pellicola ancora oggi profonda e commovente, malgrado le centinaia di visioni.
Oltre al cast, alle scenografie spettacolari e al legame narrativo, per la verità labile con l’opera dickiana, Blade runner si fregia anche di una delle migliori colonne sonore realizzate da Vangelis. Col suo significato extra-cinematografico, è quindi più che un film: è un manifesto ideologico, politico, sociale, antropologico, che avvince ed emoziona da quarant’anni. È tempo di morire…
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Titolo originale | Blade runner |
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Lingua originale | inglese |
Paese | Hong Kong USA |
Data d’uscita | 25 Giugno 1982 |
Durata | 124 minuti |
Genere | Fantascienza |
Regia | Ridley Scott |
Cast | Harrison Ford Rutger Hauer Sean Young Daryl Hannah Brion James Joanna Cassidy Edward James Olmos M. Emmet Walsh Joe Turkel William Sanderson Morgan Paull James Hong Hy Pyke Ben Astar |