David Hasselhoff: parabola di un attore tra parodia e leggenda
David Hasselhoff
«I feel like Elvis. Only alive».
La tredicesima casa
O muori da leggenda, o vivi tanto a lungo da diventare parodia. Questa legge non scritta si potrebbe applicare a molti attori divenuti famosi negli anni ’80 sul piccolo schermo, ma per David Hasselhoff il discorso è diverso. Per lui non solo si applica, ma si potrebbe addirittura dire che gli calza a pennello, come una seconda pelle.
Genesi di un mito
L’attore lo conoscete bene e forse lo avrete intravisto anche in un video in cui era alle prese con un hamburger, mentre cercava di mangiarlo da ubriaco fradicio; oppure vi è capitato di rivederlo in uno dei suoi ruoli di maggior successo o, ancora, semplicemente lo avete conosciuto in tempi relativamente recenti, in qualche film so bad so good. Qualunque sia il modo con il quale siete entrati a contatto con David Hasselhoff, ecco la nascita e l’evoluzione della sua vera leggenda…
La nascita
Nel 1979 arriva in sala una grande epopea, a metà tra Fantascienza e Fantasy. Astronavi, raggi laser, un’imperatore galattico… ingredienti che sembravano non appetibili fino a qualche tempo prima riescono invece a convincere gli investitori, che sganciano milioni di dollari per la realizzazione di questo colossal che, però, al botteghino prende diverse pernacchie. Ovviamente non stiamo parlando di Star Wars, ma del nostrano Scontri stellari oltre la terza dimensione, di Luigi Cozzi.
Erano quelli i tempi nei quali, soprattutto se si parla di cinema, eravamo noi italiani a fare le peggiori cinesate possibili e questo film ne è solo un ulteriore esempio. Girato in gran parte a Cinecittà, tra i protagonisti possiamo riconoscere anche Nadia Cassini, Christopher Plummer e, ovviamente, un giovanissimo David Hasselhoff, già prontissimo a reclamare il suo giusto posto sotto i riflettori. Sei mesi di produzione, due minuti per dimenticarsene, quarant’anni per rivalutarlo come grande capolavoro del trash italiano.
Il Cavaliere Nero
Forse ancora scosso dall’esperienza italiana, David Hasselhoff torna negli USA per continuare a tentare il grande balzo. Ci riuscirà nel 1982, a bordo di una Pontiac TransAm nera e con una spiccata ironia. Si parla ovviamente di Supercar, serie nella quale David Hasselhoff è il protagonista quasi assoluto, ma deve dividere il suo successo e la sua fama con KITT: un’auto come la Tesla di oggi, ma molto, molto più sarcastica e intelligente.
Pensato come un classico show di quegli anni, gli episodi di Supercar vedono il protagonista intraprendere avventure in stile James Bond per conto di una benefica associazione che ha nel proprio statuto la lotta al crimine.
Supercar ci mette davvero poco a sedurre il pubblico di tutti i Paesi dov’è trasmessa, compresa l’Italia, e David Hasselhoff è turbo boostato nella leggenda così veloce che, al confronto, Dominic Toretto pare un vecchio sul Pandino.
La nuova leggenda
Supercar ha un bruschissimo e inspiegabile calo di ascolti nel 1986, dopo 4 stagioni. Questo, unito agli altissimi costi di produzione, ne decreta la fine e chiude il capitolo più significativo della carriera di David Hasselhoff, almeno per tre anni circa. Nel 1989, infatti, l’attore trova nuova fama come co-protagonista di un altra serie. Stavolta il teatro dell’azione non è l’asfalto infuocato, ma le altrettanto calde spiagge della California; David Hasselhoff non è più un cavaliere, ma un atletico bagnino.
Baywatch è, ancora oggi, una delle serie dal maggior numero di spettatori nel mondo e sono certo che non dipenda solo dai ralenti. David Hasselhoff è ormai un attore maturo coi suoi trentasette anni, ma ancora non difetta in prestanza fisica e offre al suo personaggio, il mitico Mitch Buchannon, stile e personalità pari da rivaleggiare con colleghi e colleghe che sul set gli oppongono fisici statuari, chiappe sode e spalle larghissime. Non a caso, David Hasselhoff resta nella serie per ben 10 delle 11 stagioni, l’ultima delle quali è ancora inedita in Italia.
Verso la parodia
Tuttavia, proprio da Baywatch la leggenda inizia a virare verso la parodia. Diventa evidente nel 2017, quando esce il film tratto dalla serie televisiva con protagonista The Rock. La pellicola è lontanissima dai toni della serie e riduce Mitch Buchannon in una vera e propria figura mistica, non senza una dose di dissacrante autoironia, rimarcando quanto di vagamente inverosimile ci fosse nella serie originale solo per poi ripetere le medesime situazioni, ma stavolta sottolineando allo spettatore la loro non plausibilità. A suo modo è un film divertente, sebbene abbia avuto critiche ferocissime e confermato che Dwayne Johnson abbia due espressioni: con le infradito e senza.
Sopravvivere alla leggenda
Il caso del film di Baywatch è solo un passo ulteriore di David Hasselhoff verso ruoli sopra le righe. Già nel 2015, infatti, l’attore entra nel cast di Sharknado 3 e, ancor più importante, presta la sua voce a Hoff9000, computer di bordo dell’auto del protagonista del mediometraggio Kung fury, ricco di citazioni e decisamente iperbolico.
La situazione è così perfettamente percepita anche nei Guardiani della Galassia Vol 2., in cui lo si cita apertamente e gli si offre anche un cammeo incentrato proprio sul suo essere stato icona di un tempo passato. Infine in Killing Hasselhoff l’attore, o meglio dire la sua morte, diventa oggetto di scommessa del protagonista, in una commedia sottotono che conferma come David Hasselhoff sia ormai andato oltre la sua stessa leggenda.
Come un eroe greco
Sia chiaro: ammiro tantissimo la sua autoironia, la prova di quanto sia riuscito a uscire dai confini del piccolo schermo per approdare a un iperuranio dove esiste ormai come ideale platonico. Fossimo nella Grecia antica, probabilmente avrebbe una costellazione tutta sua: Knight, come la tredicesima casa prima d’ottenere l’Armatura d’Oro.