«Quando l’orizzonte è in basso, è interessante. Quando è in alto, è interessante. Quando è al centro, è una palla mortale»

Quello di Steven Spielberg è un nome indissolubilmente legato alla storia del cinema. Pur senza elencare le dozzine di progetti che s’è accollato in veste di produttore, la sua straordinaria carriera di regista passa attraverso capolavori capaci di suscitare le emozioni più pure.

Grandi emozioni, tra cui anche la noia

Che si resti incollati allo schermo ad assistere all’impari lotta dell’uomo contro la mostruosità di camion o squali, si pianga come fontane mentre E.T. saluta il suo amico Elliot, o ci si sposti da un’avventura all’altra tracciando una linea rossa sulla mappa assieme all’immortale Indiana Jones, l’occhio dietro la macchina da presa e il cervello che elabora gli effetti sul pubblico di certe scene è infatti sempre lo stesso: quello di Steven Spielberg.

Capace di far saltare sulla poltrona le fette di pubblico più disparate, il regista s’è talvolta sentito autorizzato anche a inchiodarci su quelle stesse seggiole per l’intera, interminabile durata di peperonate indigeribili come Lincoln, per citare il più pesante di tutti i suoi lavori.

Il dubbio

È con l’incertezza nel cuore, dunque, che ci s’accinge a entrare in sala per le 2 ore e 35 minuti di The Fabelmans. Ma se è vero che questa pellicola dichiaratamente autobiografica non pare avanzare la benché minima pretesa di spettacolarità, è anche assicurato che nessuno si troverà a invocare il sonno o qualche evento funesto per sopravvivere fino al termine della proiezione.

Straordinaria banalità

La storia dei Fabelmans, della famiglia in cui Steven Spielberg è nato e cresciuto diventando chi è, scorre davanti ai nostri occhi in tutta la sua disarmante ordinarietà. A nessuno degli eventi che pure hanno profondamente segnato la crescita e le scelte del cineasta è assegnata la minima valenza magica o straordinaria: a casa Fabelmans si ride, si piange, si affrontano lutti, crisi coniugali, bullismo e traslochi come li affronterebbe la maggior parte delle famiglie americane, anzi terrestri.

La vera sorpresa è proprio questa: el señor Spielbergo rinuncia all’epica, alla magniloquenza dei suoi racconti e comunque riesce a incantare con la straordinaria banalità di una famiglia ebrea americana e grazie alle performance degli attori scelti a interpretare questi personaggi: Seth Rogen, Michelle Williams, ma soprattutto un Paul Dano semplicemente strepitoso sono perfetti.

L’ancora di salvezza

Parallelamente alla narrazione, scopriamo che per Steven Spielberg cineprese e moviole sono solo il mezzo: il vero fine è la pellicola e quanto vi rimane impresso, per quanto lontano o a volte troppo dolorosamente vicino alla verità possa risultare.

Nella cornice di un’esistenza così lontana dalle classiche tematiche spielberghiane, il giovane Sam, un convincentissimo Gabriel LaBelle, tira avanti solo grazie a quello che riesce a immortalare in modo sempre sorprendente e innovativo fino al fortunoso incontro col più grande regista di tutti i tempi, interpretato da un gracchiante e quasi irriconoscibile David Lynch e forse unico momento in cui l’aderenza alla realtà è alterata da un pizzico di fantasia.

La giusta linea dell’orizzonte

Nerdface è uscito dal cinema sollevato e gratificato dalla visione di un film in cui ancora una volta Steven Spielberg dimostra di saper individuare la giusta linea dell’orizzonte e consiglia questo film a tutti.