«There’s no enemy like the past»

«There’s no enemy like the past», recita una delle tagline di Creed 3. Ma pure l’autocompiacimento non scherza. Giunti al terzo capitolo della saga nella saga, con Michael B. Jordan che stavolta, oltre che sul ring, si piazza anche dietro la cinepresa, iniziamo ad avere l’impressione di navigare in acque un po’ stagnanti.

Uno spettro del passato

Il figlio di Apollo Creed, ormai all’apice del successo, dovrà fare i conti con uno spettro del suo passato, ma già dai trailer pare chiaro che il faccione simpatico di Jonathan Majors sia poco indicato per un ruolo di nemesi.

Primo (e unico) film dell’universo di Rocky privo di Sylvester Stallone, appare privo proprio della capacità dello Stallone Italiano d’aver sempre saputo strafare, ma con stile, ammettendo per primo l’esagerazione e rimediando col suo sorriso sghembo, il cappelletto di traverso e la sfilza di freddure inascoltabili.

Troppo poco per vincere

Apelle figlio d’Apollo questo dono non ce l’ha e nonostante confezioni un film strutturalmente solido, sostenuto da scontri coreograficamente impeccabili, da una colonna sonora più che gradevole e da Tessa Thompson, mette insieme un mezzo miscuglio tra Rocky 3, Rocky 5 e anche qualcosa di Rocky 2, sebbene del vero Rocky Balboa, comprensibilmente defilato tra i produttori della pellicola, a guardare bene è rimasto proprio poco.

Non aiuta la ricchissima farcitura di sottotrame: tutte più o meno superflue, poche più o meno sensate. Remano decisamente contro alcune trovate nelle sequenze dell’allenamento e del combattimento finali e dell’ultima, prolissa scena, che difficilmente trascineranno il film sulla vetta della collina di Hollywood. O della scalinata di Filadelfia. Aridatece Stallone!