The office: storia di un impiegato (e dei suoi colleghi)
The office
«Questo è il parkour!».
Titolo originale | The office |
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Lingua originale | inglese |
Paese | USA |
Anni | 2005-2013 |
Stagioni | 9 |
Episodi | 204 |
Durata | 22/42 minuti a episodio |
Genere | Sit-com Falso documentario |
Primo episodio | 24 Marzo 2005 |
Uscita italiana | 27 Marzo 2006 |
That’s what it said
The office USA: 9 stagioni e 201 episodi, per un classico del filone comedy dello stesso rango di Friends, The Big Bang Theory, Malcolm in the middle o Seinfeld, che ha saputo sviluppare degnamente gli spunti comici e di satira di costume già presenti nell’originale britannico, firmato da Stephen Merchant e Ricky Gervais, quest’ultimo interprete del surreale David Brent, manager narcisista e grottesco senza il quale non avremmo avuto l’altrettanto memorabile Micheal Scott, boss della Dunder Mifflin Scranton, magistralmente impersonato da Steve Carell.
Un ufficio planetario
Il successo planetario della franchise è testimoniato dalle numerose versioni nazionali fiorite su scala planetaria nell’arco ventennale, che va dalla prima trasmissione nel Regno Unito alla prossima messa in onda greca.
Se escludiamo la madre inglese e il primogenito statunitense, contiamo 12 adattamenti locali, dall’Arabia Saudita alla Repubblica Ceca, passando per India, Israele e Cile, ma anche per Paesi solitamente refrattari al colonialismo dell’immaginario, come la Germania e, soprattutto, la Francia.
La miniera dei meme
Nel 2016 Rolling Stone ha inserito lo show tra i 100 più importanti nella storia della televisione. The office USA è diventata, inoltre, una miniera per i meme, dal «parkour», a Kevin impantanato nel chili, per finire con Jim alla lavagna.
Com’è noto, The office è un mockumentary sit-com, ossia un finto documentario in salsa comica, con quanto consegue sia in termini visivo e registici che drammaturgici. La regia si fonda su un girato artificiosamente low-fi, basato su riprese con camera a mano, piani sequenza e bruschi movimenti di macchina, montato insieme a interviste a personaggi che si abbandonano a commenti e riflessioni, secondo la dinamica che oggi vediamo in talent e reality.
Ma quale quarta parete
L’effetto ricercato è il realismo del racconto: quindi, vivaddio, non ci sono risate registrate. Questo aspetto incide sul comportamento degli attori, che possono rompere la quarta parete ammiccando in camera, per giocare di sponda con il pubblico.
L’effetto di realtà è molto virtuale, se consideriamo che la sospensione d’incredulità dello spettatore sarebbe un ingrediente essenziale e permanente. La telecamera entra addirittura nei bagni e la forma documentario diventa sempre meno credibile persino per i personaggi, che se ne dimenticano per stagioni intere, ma senza che la fidelizzazione di chi guarda venga meno. Anzi, quando nella stagione finale l’operatore Brian, infatuato di Pam, la difende e passa davanti alla telecamera, l’effetto di spiazzamento è notevole.
Oltre il cringe
The office, dunque, racconta la vita quotidiana di un’azienda che vende carta, un contesto quasi pubblico, ideale per la satira di costume. È qui che gli istinti, la meschinità, le ambizioni spasmodiche ma anche la semplice mediocrità si dispiegano nel loro scintillante grigiore. Già nell’originale inglese c’è una forte componente cringe: si fa dell’imbarazzo una forma d’arte, affidando al protagonista in scena, tipicamente il Brent di Gervais, la funzione d’eccedere in comportamenti e dichiarazioni sconvenienti, per ingenerare un effetto di compassione da cui scaturisce, paradossalmente, la comicità.
Come si ride
Nella versione originale del Regno Unito il tutto è più teatrale e quasi plumbeo, a partire dalla fotografia. In quella statunitense, invece, la tensione è temperata dalle abilità istrioniche di Steve Carell, che a fini pedagogici impersona anche alter ego clamorosi come Prison Mike, in un episodio scritto da Gervais. Nei momenti più squallidi, sessisti, omofobi e razzisti prevale l’empatia per un soggetto caricaturale, circondato dalla riprovazione degli astanti. Non si ride con lui, insomma, ma di lui, in quanto figura ridicola. O, almeno, non sempre.
L’autoproclamatosi «World’s Best Boss» a volte guadagna la complicità di colleghi e pubblico. Come quando in una frase c’è l’appiglio per un’allusione sessuale, «non essere troppo duro», e lui erompe nel suo «that’s what she said», in italiano «me lo dicono tutte», con un riflesso da Sindrome di Tourette che sprigiona contagiosa ilarità.
Al lavoro tra i Simpson…
The office pesca efficacemente nel visivo dell’immaginario occidentale più pop. Quando l’acceleratore va sull’imbarazzo si può pensare ai Griffin, ma più in generale l’assortimento di soggetti bizzarri rimanda al carrozzone de I Simpson, come pure la piaggeria di alcuni personaggi (a tratti Dwight, ma anche Andy), che riecheggia la relazione tra Burns e Smithers.
L’espediente del cold open, ossia del mini episodio quasi sempre autoconclusivo che precede i credit iniziali, ricorda per variabilità la sigla del cartone di Matt Groening. Ne I Simpson, come già nel fumetto Bristow, c’è la descrizione di un microcosmo lavorativo, con sotterfugi, love affair più o meno sordidi, scherzi diabolici, carrierismi, uscite mondane coi capi supremi, organizzazione di gite ed eventi.
… e Fantozzi
Basta chiudere gli occhi per ritrovarsi nei Fantozzi di Salce, con Filini alla guida del Party Planning Committee e Todd Packer che fa il filo alla signorina Silvani. A impressionare un occhio europeo è la totale assenza di pur vaghi riferimenti a sindacati, scioperi o vertenze. Non c’è l’ombra di un Folagra e la malinconica difesa di qualche sprazzo di diritti degli impiegati è sulle gracili spalle e negli occhi spauriti del vessatissimo responsabile delle risorse umane Toby Flenderson, anch’egli tragicamente fantozziano nella sua malasorte cosmica.
La commedia e i caratteri
Ogni opera di fiction ha una cerchia di protagonisti e The office non sfugge a questa regola aurea: Michael, Jim e Pam sono centrali come lo erano David, Tim e Dawn nell’originale. Ma nella versione statunitense Dwight Schrute trabocca oltre i limiti che Gareth Keenan non ha avuto il tempo di lambire e tanti altri possono essere considerati almeno co-protagonisti, per quanto sono caratterizzati.
Il Dwight di Rainn Wilson è figura quasi epocale: anima nerd, Sheldon Cooper in acidi e americano rurale in berserk, con un’ascendenza tedesca che lo rende ideale parodia di Trump ma anche, in qualche modo, corrispettivo a Stelle & Strisce dell’esuberanza di Stanis La Rochelle. Ryan è un misto d’arrivismo e spaesamento e rispecchia la sua generazione; in Creed troviamo un fool da urlo, in Phyllis la collega apparentemente angelica ma in realtà spietata, alla Itala, mentre Andy funge da catalizzatore del malanimo dello spettatore.
Caratteristi di prima fascia
E poi, due caratteristi di prima fascia: Kevin porta il proprio corrispettivo britannico Keith al parossismo, diventando una sagoma iconica; l’antropologia di Stanley è un concentrato d’andropausa, edonismo e autoreferenzialità molto riconoscibili. Si fa fatica a citarli tutti (Angela, Oscar, Meredith, Darryl, Jan, Holly, David Wallace, Erin), ma una menzione speciale merita l’enigmatico e disturbante Robert California di James Spader.
Una commedia umana corale
La Dunder Mifflin è sede di una commedia umana corale. Sebbene Steve Carell sia un capocomico portentoso, meritatamente premiato col Golden Globe e purtroppo non presente nelle due ultime stagioni, The office lavora di squadra in ogni senso: B.J. Novak (Ryan), Mindy Kaling (Kelly) e Paul Lieberstein (Toby) sono sia sceneggiatori che produttori esecutivi e attori, e Liberstein è diventato showrunner quando Greg Daniels è stato assorbito da Parks and Recreation. E come in ogni consesso umano affollato e vivace, l’odio e l’invidia ci sono, ma l’amore vince, anche se non come ce lo aspetteremmo…
La sigla completa di The office USA
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Titolo originale | The office |
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Lingua originale | inglese |
Paese | USA |
Anni | 2005-2013 |
Stagioni | 9 |
Episodi | 204 |
Durata | 22/42 minuti a episodio |
Genere | Sit-com Falso documentario |
Primo episodio | 24 Marzo 2005 |
Uscita italiana | 27 Marzo 2006 |