«Bring me innocent victims!»
«I just want a normal life».

Togliamoci subito il dente, un canino, per forza di cose. Non è una questione di qualche fotogramma qua e là: in Renfield Nicolas Cage assomiglia davvero in maniera impressionante a Giucas Casella. Chiarito questo, di vampiri è pieno il mondo: Nerdface lo dice da tempo, trae gioia da questa assidua presenza dei vari principi della notte nei canali dell’immaginario e non perde occasione d’andarsene a gustare ogni ennesima rappresentazione.

Dracula Cage

Stavolta tocca a Chris McKay, di solito più a suo agio tra i mattoncini LEGO che nel mondo umano, provare a trasformare il monomorfo e per questo sempre amato Nicolas Cage in un Conte Dracula convincente e rispettoso di quasi tutti gli stereotipi, tranne uno: Giucas Casella, pardon, Dracula Cage non è il protagonista del film.

Una figura tra le più sottomesse

L’occhio di bue è puntato, lo dice il titolo stesso, su Robert Montague Renfield. Non ce ne vogliano Dwight Frye (1931), Klaus Kinski (1970), Topor (1979) e Tom Waits (1992), a loro volta interpreti dello sventurato famiglio o Thrall, ma quella di Renfield, unica vittima che il Conte non uccide ma costringe a una orrenda non vita di servitù, è una tra le poche figure più sfruttate, represse, calpestate, odiate, frustate, frustrate e sottomesse del fratello di Rino Gaetano fin dai tempi di Bram Stoker.

Proprio per questo, l’idea ispirata da quel Robert Kirkman di The walking dead di sviluppare la narrazione sul tema delle relazioni tossiche è a dir poco geniale. A calarsi nei panni dell’avvocaticchio arrivista londinese che tenta la fortuna con la speculazione edilizia in Transilvania e per finiire a nutrirsi di insetti nel manicomio di Farfax, cade su Nicholas Hoult, già J.R.R. Tolkien nell’omonimo biopic, Bestia nella saga degli X-Men targata Fox, ma soprattutto quell’invasato di Nux in Mad Max: fury road e quel povero deficiente di Tyler in The menu.

Il resto del cast

Scelta azzeccata, poiché Nicholas Hoult, forgiato da tutti questi ruoli nella parte del belloccio afflitto da vari gradi di sfiga, è un Renfield perfetto. Ad affiancare vampiro e famiglio, sullo sfondo di una New Orleans meno carnevalesca e più post-alluvionata, ci sono una divertente Awqwafina, qui in versione piena di rancore e di sete di giustizia, e la famiglia criminale Lobo, composta da mamma spietata Shohreh Aghdashloo e figlio cretino Ben Schwartz.

Ondivago, anzi biforcuto

Buono il cast e ottima l’idea, dunque. A risultare purtroppo ondivago, anzi biforcuto, è lo sviluppo della trama che, nel tentativo di trattare un argomento così originale e delicato e al contempo intrattenere ricorrendo alla sana vecchia violenza splatter, procede in maniera un po’ stiracchiata e tende a lasciare un senso d’incompiutezza che difficilmente, nonostante i vari ammiccamenti, si può tradurre nella voglia di un sequel.

Probabilmente non sarà il film dell’anno, non diventerà una saga (vivaddio) e non farà la storia, ma Renfield ha il pregio d’intrattenere in maniera leggera e per un lasso di tempo accettabile. Oro, anzi, sangue di cheerleader in questo momento.