Sam Raimi: la Super 8 che plasmò il papà di Evil Dead
Sam Raimi
«That’s what heroic stories do for us: they show us the way, they remind us of the good we are capable of».
Nella tela del regista
Una delle immagini più belle di Sam Raimi, probabilmente, lo ritrae in giacca e cravatta mentre dà direzioni sul set di Spider-Man 2. Vestire eleganti sul set è certamente un fatto normale per alcuni registi: Martin Scorsese, per esempio, non lo si vede mai in maglietta e jeans, eppure il suo completo calza sempre a pennello. Quello di Sam Raimi, no: la sua giacca è sempre troppo larga e le maniche sempre troppo lunghe, come se non si trovasse perfettamente a suo agio nei panni indossati.
Una storia d’amore
Forse, il segreto del successo di Sam Raimi è tutto lì, nel suo volersi dare un tono nonostante ne sia incapace, sebbene sia sempre quel ragazzo che filmava il suo amico Bruce Campbell con la Super 8 regalatagli dal padre: inadatto ad apparire elegante, ma con un certo rispetto del ruolo ricoperto. Il suo amore per il cinema e per lo storytelling lo si vede proprio dalle mani quasi coperte da una giacca fuori taglia.
Sam Raimi nasce a Royal Oak, Michigan, in una famiglia di ebrei ortodossi. La sua passione per il cinema germoglia quando suo padre, un giorno, decise di regalargli una piccola Super 8, macchina usata per il filmmaking amatoriale. Sam Raimi e il fratello Ted la adorarono, filmando quante più scene e cortometraggi possibili.
Il primo horror
Nel 1978, al college, insieme agli amici Robert Tapert e Bruce Campbell, girò il primo film di rilievo, Within the woods, un horror di 32 minuti. Di solito i primi lavori, soprattutto così sperimentali e a basso costo, non sono inseriti negli articoli d’approfondimento, ma questo mediometraggio è un punto di svolta nella sua carriera.
La casa
Infatti, insieme al precedente (quasi) lungometraggio It’s murder (1977), Within the woods riesce a convincere varie persone a investire nel suo primo vero progetto, La casa (1981). È difficile trovare un regista che, al suo debutto, tira fuori un cult intramontabile, eppure Sam Raimi ci riuscì.
Con un budget stimato di 350 mila dollari, ottenne le attenzioni del distributore Irvin Shapiro, responsabile di capolavori come La notte dei morti viventi del mitico George A. Romero: nonostante non considerasse il film un masterpiece, intuì il potenziale affare.
Irvin Shapiro decise, quindi, su proposta di Sam Raimi, di presentarlo a Cannes, nella sezione non competitiva. Nella sala, a vedere La casa c’era un uomo il cui nome è immediatamente associato all’Horror, di cui è il Re: Stephen King.
Parola di Stephen King!
Uscito dalla proiezione, scrisse una recensione lodevole della pellicola, inserendola nella sua lista dei migliori cinque film horror mai visti. Inutile dire che queste parole ne aiutarono l’incasso, che arrivò a circa 2,4 milioni di dollari, cifra considerevole pensando la sua natura low-budget.
Durante la fase di post produzione, Sam Raimi incontra l’assistente della montatrice, Joel Coen. Esatto, uno dei registi de Il grande Lebowski. Da lì nasce un’amicizia certamente proficua: infatti Joel, suo fratello Ethan e Sam Raimi collaborano al film Crimewave (1985), una commedia interessante più per i suoi retroscena, che per l’effettivo valore artistico.
Crimewave
Dopo il successo de La casa, infatti, Irvin Shapiro propose a Sam Raimi di dirigerne un sequel, così da poter battere il ferro finché fosse caldo. Il regista, convinto che Crimewave avrebbe potuto essere un successo, rifiutò. L’unico problema, imprevedibile, fu la vera e propria esperienza infernale che di lì a poco Crimewave sarebbe diventata. I produttori di Embassy Pictures, dopo una serie di ritardi, con un conseguente aumento del budget del progetto o, meglio, a una serie di promesse fatte e poi smentite a Sam Raimi sull’entità stessa del finanziamento, decisero d’ottenere l’intero controllo artistico del progetto.
La casa 2
Iniziarono col togliere il ruolo di protagonista a Bruce Campbell, per poi pretendere diversi tagli alla sceneggiatura; infine, il controllo della fase di post produzione. Insomma, un disastro da cui era difficile uscire.
A testa bassa, sconfitto dalla brutta esperienza, Sam Raimi si rivolse a Irvin Shapiro, chiedendogli di poter dirigere il tanto atteso La casa 2. Il distributore lo fece incontrare col mitico Dino De Laurentiis, il quale gli propose di dirigere l’adattamento de L’occhio del male, scritto da Stephen King sotto lo pseudonimo di Richard Bachman.
Dopo il rifiuto del regista, però, Dino De Laurentiis acconsentì comunque a produrre il tanto agognato sequel del La casa. Con circa 4 milioni di budget, La casa 2 nel tempo divenne un cult indimenticabile: grazie al suo bellissimo mix fra horror e commedia slapstick, Sam Raimi s’attestò tra i migliori registi del genere del momento.
Darkman
Nel 1990, con l’avvento delle camicie di flanella e la musica grunge, Sam Raimi diresse un film nato da un suo racconto, Darkman (1990), una pellicola quasi supereroistica con Liam Neeson nata dalla volontà di fondere il genere ad altre opere, come Il gobbo di Notre Dame e Il fantasma dell’opera.
Ovviamente, il risultato finale fu disconosciuto dal regista, che lamentò interferenze dello studio: per colpa del marketing e di un montaggio diverso da quello immaginato, Darkman fu irriconoscibile agli occhi del suo creatore.
L’armata delle tenebre
Sam Raimi, quindi, tornò al suo franchise, girando il terzo capitolo de La casa. Questa volta, però, la pellicola è completamente diversa dalle precedenti: stiamo parlando de L’armata delle tenebre (1992), un vero e proprio film d’avventura, col nostro protagonista, ancora Bruce Campbell, a tornare indietro nel tempo, in un mondo fantasy. Questo concept balenava in mente al regista sin dai tempi del primo film, ma a causa del basso budget sempre avuto a disposizione dovette desistere.
Fino a quel momento. Dino De Laurentiis questa volta gli concesse più soldi, ben 11 milioni di dollari e il risultato fu un altro cult imperdibile per gli amanti del genere, in grado di mostrare tutta la grandiosità della regia di Sam Raimi.
Il montaggio, poi, è davvero da precursore: per esso oggi è esaltato Edgar Wright, insieme all’uso degli zoom, tecniche che, però, Sam Raimi utilizzò ben 20 anni prima del regista di Shawn of the dead, a dimostrazione di quanto sia stato ignorato negli anni.
Gli scivoloni
Successivamente, Sam Raimi girerà diverse pellicole di valore artistico poco rilevante, molte delle quali su commissione: Pronti a morire (1995), un western con Sharon Stone, Gene Hackman e un giovanissimo Leonardo DiCaprio, che si rivelò un flop; Soldi sporchi (1998), un bellissimo film drammatico, che ricevette alcune nomination agli Oscar, ma nessuna per il povero Sam; Gioco d’amore (1999), che valse a Kevin Costner una nomination ai Razzie Award; The gift (2000), un film ispirato dal suo sceneggiatore, Billy Bob Thornton, con Cate Blanchett e Keanu Reeves, altro flop.
Spider-Man
Questo elenco di delusioni enfatizzano ancor di più la scelta rischiosa di Sony nel concedere a Sam Raimi uno dei franchise tuttora più preziosi: Spider-Man. Effettivamente, nei primi anni 2000 i film supereroistici non erano ancora stati ben assimilati dal pubblico, men che meno dagli studios, che non avevano idea di come approcciare al genere. Se pensiamo a Batman di Tim Burton, ci viene in mente un cult intramontabile. Ma se pensiamo a quello di Joel Schumacher…
Il problema è che nessuno, fino a quel momento, era riuscito a tirare fuori il coniglio dal cilindro, riuscendo ad accontentare pubblico, critica e produzione. Eccetto Sam Raimi, quel ragazzo del Michigan con la Super 8, che faceva cortometraggi con gli amici e leggeva fumetti a più non posso.
La genesi di una trilogia
Lo Spider-Man (2002) con Tobey Maguire nacque da un vecchio progetto di James Cameron, addirittura accreditato come sceneggiatore nel primo capitolo. Sebbene Spider-Man sia il primo, vero film sulla creazione di Stan Lee, possiamo dire tranquillamente che sia quello definitivo: niente potrà superare una serie di pellicole intramontabili, composta da personaggi scritti al limite della perfezione.
Grazie al suo umorismo e a una direzione impeccabile, Sam Raimi riuscì a ottenere l’amore di tutti, persino degli studios, che gli concessero carta bianca per il sequel, Spider-Man 2 (2004). Qui, oltre alla superba regia, Sam Raimi riesce a confezionare, forse, il miglior cinecomic mai realizzato, grazie alla creazione del Doctor Octopus, uno dei villain più simpatetici di sempre, interpretato da un magnifico Alfred Molina. Tutte queste lodi, però, servono a introdurre l’elefante nell’armadio, il terzo capitolo della saga, l’infame Spider-Man 3 (2007). Difficile pensare che un film prodotto da Avi Arad potesse effettivamente riuscire senza qualche intoppo.
L’imposizione di Venom
Infatti, durante lo sviluppo dello script, il produttore chiese insistentemente a Sam Raimi d’inserire Venom fra i villain della pellicola. Il regista, lettore di fumetti in età giovane, non certo negli anni ’90, quando nacque la nemesi di Spider-Man, non aveva la minima idea di come funzionasse il personaggio. Inoltre, Spider-Man 3 presenta un ritmo confuso, anche per colpa delle diverse sottotrame. Nonostante ciò, riesce ad avere cuore, veri sentimenti, di persone reali. Quel cuore che manca alle commediacce Marvel, dominate da pagliacci privi di qualsivoglia emozione.
Il viaggio di Peter Parker
Il viaggio di Peter è il viaggio che abbiamo vissuto tutti nella vita, da liceali imbranati, a uomini sommersi da mille responsabilità. E chi se ne importa se il ballo di Peter risulti tuttora imbarazzante: Spider-Man 3 resta la degna chiusura di una delle trilogie più belle di sempre. A proposito: Peter in pista è così perché, nonostante acquisisca il carisma del simbionte, è pur sempre lo stesso nerd imbranato di sempre. Non fermatevi in superficie, fate come Sam Raimi.
Purtroppo il regista, a causa delle differenti visioni artistiche con Sony, decise di lasciare il franchise, costringendo lo studio a commettere uno dei reboot più rapidi della storia. Due anni dopo, Sam Raimi gira Drag me to Hell (2009), un ottimo film horror dal budget relativamente basso, capace d’accontentare sia pubblico che critica, con un incasso di quasi 100 milioni di dollari. Nel 2013, si riunisce a James Franco ne Il grande e potente Oz, un retelling de Il Mago di Oz per la Disney. Nonostante il film rispecchi poco i canoni di Sam Raimi, alcune scelte metatestuali risultano piuttosto interessanti, rendendola certamente una pellicola da vedere.
Doctor Strange
Dopo queste esperienze, Sam Raimi torna alla ribalta in un modo che sembra riassumere alla perfezione la sua carriera: è infatti sua la regia di Doctor Strange nel Multiverso della Follia, capitolo dell’MCU che sembra saldare supereroi e horror, basti pensare al grottesco scontro finale, in una pellicola in cui la mano del regista si nota in molti punti, consegnando al pubblico, per la verità non concorde nel giudizio, uno dei capitoli più autoriali dell’epopea Marvel su grande schermo.
Sam Raimi resta una delle figure più amate nell’horror (e non solo): grazie al suo approccio sempre fresco, ha dimostrato come l’arte cinematografica si possa trovare anche fra amici, con una Super 8, con la passione di quel ragazzo del Michigan, la stessa possibile da trovare nelle pellicole amatoriali, come nei blockbuster.