L’attacco dei giganti: la rivoluzione è iniziata
L’attacco dei giganti
«Voi siete la preda e noi i cacciatori».
La rivoluzione è iniziata
Cercare di spiegare cosa sia L’attacco dei giganti e cosa rappresenti potrebbe essere impresa ardua per molti che seguono l’anime e il manga dal quale è tratto. Cercherò, allora, di dare voce solo alle mie impressioni personali, adesso che la terza stagione è stata resa disponibile su Netflix e che molta della trama nascosta s’è rivelata ai più. E partirò con un’ammissione: sono stato vittima di un grosso equivoco.
Ho iniziato a vedere la serie incuriosito dall’ambientazione pseudo post-apocalittica. Un plot con tutta l’umanità rinchiusa dentro tre cerchie di mura per difendersi da un pericolo mortale aveva un’attrattiva inevitabile su di me. Quando, poi, questo pericolo era rappresentato da creature così enigmatiche come i giganti, col loro sguardo vacuo e le loro peculiarità fisiche, sarebbe stato decisamente impossibile rimanere indifferente.
Un anime crudo
Divorai la prima stagione: era un anime crudo, violento, strano. I protagonisti lottavano contro forze inarrestabili, usando i loro equipaggiamenti per il movimento tridimensionale. E morivano, morivano come mosche. Mea culpa: pensai che fosse una storia sulla condizione dell’essere umano, che miseramente cerca di difendersi da un nemico violento e ingiustificato, i giganti.
Complice il loro atteggiamento e lo sguardo da folli, vi ravvisavo il Destino (la maiuscola è voluta) ineluttabile contro cui l’uomo combatte, anche se non ha speranze, per difendersi e cercare di parare più colpi possibile, prima della inevitabile morte.
Accettare la morte
La morte: voi la capite? Fa parte del normale equilibrio delle cose, bisogna accettarla. Ma se un folle piomba con l’auto sulla vostra ragazza, o sui vostri genitori, o figli riuscireste ad accettarla come un evento naturale? I giganti erano quell’auto: arrivano all’improvviso e mangiano, uccidono, devastano, distruggendo i sogni e il futuro di tantissimi, senza un reale motivo.
Si può soltanto scappare
Non mangiano perché hanno fame e, anzi, molta enfasi è posta sul fatto che vomitano i resti dei malcapitati ingurgitati; fino alla seconda stagione, quand’è spiegato il motivo reale di questo comportamento, cresce il senso di futilità della morte, siano essi civili o soldati. Non a caso, il primo scontro contro i giganti mostra la prima linea di difesa della popolazione paralizzata dalla paura. La lezione può essere solo una: da loro si può soltanto scappare, perché vanno oltre le possibilità umane.
L’attacco dei giganti per tutta la prima stagione sembra non voler fare altro che ricordare quanto sia inutile combattere, sebbene qualche avversario si riesca a farlo cadere giù con un colpo alla nuca, preciso. Per ogni gigante abbattuto, però, altri sette sono pronti a ghermirti e portarti alla bocca, come bambini con un giocattolo. Gli esseri umani sono, fondamentalmente, prede: troppo deboli e troppo pochi di numero per contrastarli.
Una storia di coraggio
Insomma, l’idea era questa, che fosse un’opera dedicata a una difesa disperata, fatta da uomini e donne capaci comunque di combattere contro un mostro letteralmente più grande di loro. Una storia di coraggio, d’abnegazione e di stoicismo, costellata di pochi singoli atti eroici, che non avrebbero cambiato le sorti di una guerra segnata, ma utili a testimoniare cosa renda l’essere umano così speciale e diverso. Invece, mi ero sbagliato.
In Italia, l’anime e il manga sono conosciuti come L’attacco dei giganti: è un titolo fuorviante, perché la storia raccontata è diversa. L’umanità è chiusa dentro le mura per difendersi, ma l’uomo, inteso come singolo individuo, non è e non sarà mai una preda. La Squadra di Ricerca, nella quale milita il protagonista Eren Jaeger, rappresenta proprio questo: l’individuo contrapposto al gregge, che s’affranca e diventa cacciatore.
Un cambio di prospettiva
Un titolo giusto sarebbe dovuto essere L’attacco ai giganti. Sembra semantica e invece è proprio il senso restituito dalla storia. Mentre me ne appropriavo, l’idea iniziale crollava colpo su colpo, puntata dopo puntata. Non vedevo più gente intenta a difendersi passivamente, ma uomini e donne coraggiosi ritti sulle gambe. Ora, questa terza stagione ricca di rivelazioni rafforza questa sensazione. E dire che il concetto era già nella prima sigla dell’anime, proprio nella prima frase: «Voi siete la preda e noi i cacciatori». L’avevo attribuita ai titani, ma adesso è il motto dell’uomo.
Questo percorso di consapevolezza l’ho fatto insieme ai personaggi de L’attacco dei giganti, man mano che si alzavano in opposizione al loro stato di cattività forzata, realizzando di non essere animali destinati alla gabbia, ma esseri umani col diritto di decidere del loro destino, eliminando tutti i giganti e quanti lucidamente vorrebbero tenerli incatenati. L’attacco dei giganti è una storia di rivalsa e di ribellione contro chi ha deciso quale sia il tuo posto nel mondo, senza consultarti. Non siamo prede: non lo saremo mai finché avremo ancora la forza di ribellarci e la volontà di sacrificarci.
Una grande metafora
I giganti non sono il caso o il destino, non sono il folle che piomba su di te o i tuoi cari con l’auto, a tutta velocità. Sono uomini anche loro, vittime in ultima analisi, guidati dall’istinto e nella speranza di liberarsi dalla condizione nella quale qualcuno li ha rinchiusi. I giganti veri sono altri, lucidissimi nella loro volontà di tenere chiuse le gabbie, raccontando frottole per un vantaggio personale, diffondendo malumore e indicando un nemico irreale. Le mura di cui si parla non sono certo quelle di casa, entro le quali abbiamo trascorso diverse settimane di lockdown, bensì quelle legate, per esempio, all’ignoranza e al razzismo. La rivoluzione è appena iniziata.