Metal Gear Solid: quando diventammo enfants terribles
Metal Gear Solid
«Ognuno crea il proprio destino».
Titolo originale | メタルギアソリッド |
---|---|
Lingua originale | giapponese |
Paese | Giappone |
Data d’uscita | 3 Settembre 1998 |
Console | PS1 |
Genere | Azione Stealth |
Sviluppatore | Konami |
Distributore | Konami |
Uscita italiana | 22 Febbraio 1999 |
Enfants terribles
Alcune volte una storia di fantasia diventa parte della nostra esistenza e vi si lega indissolubilmente, al punto da germogliare i propri frutti anche nella realtà. A me accadde grazie a Metal Gear Solid, videogame che approdò per PS1 nel 1998, figlio della mente geniale di Hideo Kojima. Non ritengo d’esagerare se, ancora oggi, lo percepisco come una vera e propria esperienza di vita.
Altro che rose
Non sono mai stato un grande videogiocatore. Non lo ero certamente alla fine degli anni ’90 e la PS1 arrivò quasi casualmente, più per sentirmi meno lontano dai miei amici, che per vera passione o per un’esigenza. Era l’epoca in cui le console potevano essere craccate e, in giro per Roma, come in tutto il resto del Paese, gli ambulanti snocciolavano CD masterizzati a ogni angolo, al posto delle rose.
Una proposta che non si poteva rifiutare
Il mio spacciatore di fiducia era il portiere notturno di un hotel ambiguo, situato vicino casa mia. Durante le passeggiate serali col mio cane, quando vi passavo davanti, era solito palesarsi e proporre gli ultimi titoli di grido. E una sera mi propose Metal Gear Solid, che occupava ben due dischi e dunque costava il doppio. «Fidati, vale la pena».
Mi fidai e feci bene. Lo giocai e mi ci inchiodai male. Piansi al finale. Ne volevo ancora. E così, una sera infilai nel mio zainetto giallo la PS1, i controller e i dischi, deciso a far vedere ai miei amici questo capolavoro, a condividere l’esperienza, a viverla con loro.
Metti una sera a cena
Non c’erano gli smartphone, internet era agli esordi e la maggior parte delle serate erano trascorse in piazza, davanti alla cabina telefonica pubblica, in cerca di spicci per chiamare a casa l’inevitabile Godot, destinato a non arrivare mai e a condannarti a svernare all’aperto. In quel caso avevamo un appuntamento in una casa: ero pronto a mostrare a tutti Metal Gear Solid.
«Solo cinque minuti»
Accolto con titubanza da tutti, montai la PS1 e la promessa di «solo cinque minuti» fu la chiave che per ottenere il consenso. E fu così che giocammo 13 ore di seguito o, meglio, fui costretto a terminare Metal Gear Solid mentre intorno a me tutti gli altri, spettatori dell’intreccio ordito da Hideo Kojima, procuravano cibo, caffè e sigarette.
Ma cos’era Metal Gear Solid? Si trattava di un gioco stealth, d’infiltrazione. Nei panni di Solid Snake, membro dell’unità Fox Hound, eri chiamato a sventare una minaccia terroristica. Tuo fratello, Liquid Snake, a capo di un gruppo di soldati dai poteri in alcuni casi soprannaturali, aveva preso possesso della base militare di Shadow Moses e delle testate nucleari in essa conservate. La minaccia atomica puntava a ottenere i resti di Big Boss, un soldato leggendario.
Come in un film
Metal Gear Solid colpiva sin dall’inizio grazie alla sua presentazione, girata come fosse un film, coi titoli a scorrere durante le sequenze dell’arrivo di Solid Snake alla base. Il gioco, però, era ancora più sorprendente. Le strategie andavano scelte con cura e ogni opzione presentava difficoltà peculiari, permettendo però di infiltrarci nella base in numerosi modi diversi, anche in relazione a un equipaggiamento che andava procurato sul posto, sigaretta a parte.
Alcuni esempi? Camminare sulla neve significava lasciare le impronte, riconoscibili dalle guardie; viceversa, scegliere strade più pulite esponeva ad aggirare videocamere e a usare altri stratagemmi per evitare d’essere intercettato; si poteva bussare sulle pareti per attirare l’attenzione in luoghi dove non saresti poi passato, nascondersi in scatole di cartone, preparare trappole: tutto il gioco era pensato per evitare gli scontri diretti, insomma. Una vera rivoluzione.
Momenti memorabili
Metal Gear Solid, però, era ancora molto di più, grazie a tantissimi momenti memorabili. Il primo scontro con Revolver Ocelot, personaggio centrale nei capitoli successivi della saga; l’uso determinante delle sigarette in dotazione di Solid Snake, personaggio non a caso mutuato da quel Jena Plissken (Snake in originale, di 1997: Fuga da New York); lo scontro con Psycho Mantis, quando il controller smetteva di funzionare e non capivi cosa fare; il drammatico duello contro Sniper Wolf, la cecchina tanto bella quanto letale; i punti interrogativi sulla testa dei soldati semplici, quando facevi qualche stupidaggine che ti metteva allo scoperto.
E ancora: il doppio finale, a seconda dell’esito di un interrogatorio; i diversi modi per evadere dal carcere, quando eri catturato. E l’aspetto più geniale in assoluto: mettere il videogiocatore al centro della storia, in una sorta di metagioco in cui il messaggio pacifista e anti nuclearista ti costringeva a riflettere sulle tue azioni, controller alla mano, mentre eri educato alla guerra al pari dei soldati addestrati in realtà virtuale di cui facevi carne da cannone. Il resto, come si dice, è storia.
Per sempre enfants terribles
Metal Gear Solid ha poi avuto numerosi sequel, non sempre all’altezza, va ammesso. Ma, almeno per me, ha dato vita a un rito: a ogni nuovo appuntamento, la comitiva s’è sempre riunita per ripetere quella notte indimenticabile.
Più organizzati, ma sempre tenaci e con qualche inevitabile perdita nel corso del tempo, abbiamo ripetuto tante notti in bianco quanti sono stati i capitoli successivi proposti da Hideo Kojima. E come nella trama complicatissima e ricca di doppi giochi e complotti, siamo divenuti anche noi degli enfants terribles.
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Titolo originale | メタルギアソリッド |
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Lingua originale | giapponese |
Paese | Giappone |
Data d’uscita | 3 Settembre 1998 |
Console | PS1 |
Genere | Azione Stealth |
Sviluppatore | Konami |
Distributore | Konami |
Uscita italiana | 22 Febbraio 1999 |