Hannibal e le altre maschere del grande Anthony Hopkins
Anthony Hopkins
«I learn poetry, learn text and that really keeps you alive».
Il baronetto
Raggiungiamo vette altissime quando possiamo parlare di attori così importanti come Anthony Hopkins. Uomo di grande talento, ha partecipato, anche in anni recenti, a film che decisamente ci sono congeniali. Certo, non sarebbe corretto partire dai giorni nostri e andare a ritroso, sicuramente meglio partire dal passato, precisamente dal 1991, quando Anthony Hopkins ottiene l’Oscar per la sua interpretazione di Hannibal Lecter, ne Il silenzio degli innocenti.
Il silenzio degli innocenti
Sappiamo bene che molti di voi hanno visto il primo film e forse anche gli altri due della saga, ma è utile ribadirlo a tutti: il personaggio creato dalla penna di Thomas Harris non avrà rappresentazione migliore fino all’arrivo di Mads Mikkelsen e, per molte persone, le due versioni sono ancora compatibili, rappresentando semplicemente due età differenti di Hannibal Lecter.
Quello di Anthony Hopkins è freddo e sofisticato, eppure, al contrario del suo alter ego televisivo, riusciamo a intuire il mostro che si muove sotto pelle, percepiamo le sue pulsioni omicide e dionisiache, che lo trasformano in un cannibale. S’avvicina al vetro per annusare Clarice e già questo riesce a impaurirci, sebbene la conversazione sia elevata e gli occhi emanino puro ghiaccio. Meritatissima, quindi, la statuetta dorata, a suggellare una carriera già ampia e nata sul palcoscenico teatrale, prima che nei set cinematografici.
Anthony Hopkins è britannico, gallese per amor di precisione, e non si sottrae alla tradizione anglosassone di formare i propri fiori all’occhiello a teatro, prima che al cinema e in televisione. Si tratta di una gavetta inusuale, a onor del vero, perché da un lato permette di fargli maturare l’esperienza mancante, ma al contempo ne esalta le capacità già ben presenti e scoperte negli anni del liceo, insieme all’amore per la recitazione.
Prima di Hannibal
Oltre a Il silenzio degli innocenti, sono parecchi i film nei quali Anthony Hopkins lavora, tanti quelli che, se pure non portano a candidature agli Oscar, rimangono comunque nei cuori del pubblico. Tra i nostri preferiti c’è Quel che resta del giorno, anche per la presenza del compianto Christopher Reeve, pellicola del 1993.
Anthony Hopkins interpreta il maggiordomo di un ricco lord inglese e il film attraversa un arco narrativo che, dagli anni ’30, arriva fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. In queste vesti, Anthony Hopkins interpreta un uomo impossibilitato a lasciar trasparire alcuna emozione quand’è in servizio, una maschera interpretata magistralmente e in maniera totalmente diversa dal suo apparentemente algido Hannibal Lecter. Quel che resta del giorno è uno di quei film che vi consigliamo di recuperare al più presto, perché rappresenta uno dei punti più alti della carriera di tutti gli attori principali, compresa l’altra protagonista, Emma Thompson.
Altri film
Dobbiamo, poi, citare altre pellicole: tra queste, alcune non sono forse all’altezza della fama e della bravura di Anthony Hopkins. La prima è Cuori in Atlantide (2001), film tratto da un racconto di Stephen King e che, al pari di molti altri tratti dai lavori del Re, soffre della maledizione secondo la quale qualunque lungometraggio viene fuori a metà (oscura), a meno che non ci sia un maestro a dirigerlo.
Una lista interminabile di interpretazioni meravigliose
Altri passi più o meno falsi sono La leggenda di Beowulf (2007) e Wolfman (2010); forse, andrebbe inserito nell’elenco anche Alexander (2004) di Oliver Stone. Ma possono un film in computer grafica e un remake troppo simile all’originale, almeno nei metodi narrativi e nei quali peraltro Anthony Hopkins ha un ruolo secondario, eliminare dalle nostre menti opere come Il Bounty (1984) o il Dracula di Bram Stoker, firmato Francis Ford Coppola (1992)?
Possono farci dimenticare The elephant man di David Lynch (1980) o Vi presento Joe Black o, anche, e qui lo diciamo e lo neghiamo, Vento di passioni (1994)? Oppure la straordinaria arringa finale di Quincy Adams, l’ex presidente degli USA magistralmente interpretato da Anthony Hopkins in Amistad (1994), per la regia di Steven Spielberg?
Crediamo di no. Ad Anthony Hopkins possiamo perdonare passati e futuri inciampi, perché c’è più oro che pirite. Sarebbe sufficiente citare i tre Thor di casa Marvel, tra i film meno riusciti dell’MCU: il suo Odino da solo eleva le pellicole di diversi punti.
Balletti, smorfie e Oscar
Stesso discorso vale per l’ultima fatica di Michael Boom Boom Bay: anche in Transformers: l’ultimo cavaliere l’entrata in scena di Anthony Hopkins è un’oasi d’aria fresca nel delirio d’azione della pellicola. Insomma, ogni volta che è annunciato il suo ultimo film, sappiamo che potrebbe valere la pena vederlo, solo per la sua presenza. Un uomo del 1937 costantemente sorprendente, camaleontico e magnetico, un purosangue del cinema (o baronetto, se preferite) che sa stupirci coi i tanti video home made in cui si prende in giro facendo smorfie e balletti, per poi presentarsi con The father e vincere l’Oscar come Miglior Attore Protagonista. Un gigante.
L’amore per la musica
Anthony Hopkins è un uomo interessante anche fuori dal set: ha tre matrimoni all’attivo, una figlia e il titolo di Sir ottenuto nel 1993, sebbene l’aver accettato la cittadinanza statunitense circa vent’anni dopo abbia suscitato molte polemiche in patria. Da giovane voleva fare il musicista ed è divenuto virale il video in cui André Rieu & His Johann Strauss Orchestra eseguono a sorpresa And the waltz goes on, scritto proprio dall’attore, visibilmente commosso e stupito. Potete ascoltarlo cliccando QUI, non ve ne pentirete: si tratta di un valzer struggente ed emozionante.
Anthony Hopkins è, inoltre, sostenitore di Greenpeace ed è tra i suoi testimonial ufficiali; infine, è un vegetariano dichiarato e convinto. Ma non ditelo a Ray Liotta!