Bungie: la casa di sviluppo che c’insegnò a sparare
Bungie
«Ho la super!».
Travolti da un insolito destiny
Una caratteristica intrinseca dell’essere umano è quella d’effettuare associazioni mentali tra entità presenti nel mondo circostante. Se pensassimo, per esempio, a un colore, il nostro cervello tenderebbe ad associarlo a un ricordo o a qualcosa che ha reso quel colore significativo nella nostra esistenza. Basandosi su questo semplice concetto, potremmo asserire che, se a un videogiocatore giungesse all’orecchio il nome di Bungie, gli verrebbe immediatamente l’associazione con la saga di Halo o con quella di Destiny, nel caso sia un giovane.
Nonostante entrambe le associazioni possano considerarsi corrette, associare Bungie solo alle sue produzioni di maggior successo sarebbe senza dubbio una semplificazione troppo forte per una software house che, partendo dal nulla, è riuscita a diventare uno dei più grandi produttori del nostro tempo. Bungie ha dimostrato il proprio talento spaziando tra generi e piattaforme, creando idee che al giorno d’oggi si reputano capisaldi imprescindibili all’interno di qualsiasi produzione videoludica d’alto livello. Partiamo, però, dall’inizio.
Alex e il sogno americano
Siamo a Chicago, nei primi anni ’90. Alexander Seropian è un ragazzo dal carattere ribelle e sta per terminare il corso di laurea in matematica, scelto come ripiego in quanto all’epoca l’università non offriva ancora un corso di laurea in informatica. Orgoglioso possessore di un Macintosh e programmatore dalle grandi potenzialità, Alex realizza durante gli studi il suo primo videogioco, un clone per Macintosh di Pong, celebre simulazione tennistica uscita quasi vent’anni prima.
Gnop
Gnop, che poi è Pong al contrario, fu realizzato interamente dal solo Alex e rilasciato in maniera completamente gratuita. Gli unici introiti per quell’opera furono ricavati dalla vendita del codice sorgente del gioco ad alcuni appassionati a un prezzo di 15 dollari. Terminato il corso di studi, il giovane decide di non tener conto dei consigli di suo padre, che avrebbe voluto per lui un lavoro stabile come dipendente di una grande azienda, e d’investire tutti i suoi risparmi per fondare la propria casa di produzione videoludica. Nacque così Bungie Software Products Corporation, oggi nota come Bungie.
Operation Desert Storm
Sebbene anche Gnop iniziò a essere distribuito sotto il marchio Bungie, il primo vero gioco della neonata software house fu Operation Desert Storm, un tank-shooter che si articolava in 20 diversi livelli e basato sull’omonima operazione intrapresa dalle forze militari americane in quello stesso periodo. Un fatto divertente: l’ultimo livello del gioco era ambientato nella città di Baghdad e, per essere completato, necessitava la distruzione di un boss finale le cui fattezze erano quelle di una gigantesca testa di Saddam Hussein.
Operation Desert Storm presentava una grafica degna di nota, se comparata con quella dei pochi giochi disponibili su Macintosh all’epoca. Così come il suo predecessore, fu sviluppato, prodotto e distribuito dal solo Alex il quale, dopo aver confezionato a mano anche le scatole che ne costituivano la confezione, riuscì a vendere circa 2.500 copie.
L’ingresso di un amico
Dopo il successo modesto, ma comunque degno di nota, di Operation Desert Storm, Alex si trovò a gestire un piccolo ammontare di fondi e ad avere la concreta possibilità d’investire sul prossimo titolo da far produrre alla sua impresa. Il problema, ora, era di carattere diverso. Lo sviluppatore americano aveva infatti dato fondo a tutto il patrimonio artistico e intellettuale da egli stesso creato per dar vita ai primi due titoli. Consapevole che avrebbe impiegato troppo tempo a sviluppare una nuova proprietà intellettuale da zero, si mise in contatto con un altro talentuoso sviluppatore, destinato a diventare una delle figure chiave di Bungie.
Jason Jones
Le strade di Alex e Jason Jones si incrociarono per la prima volta durante un corso d’intelligenza artificiale tenuto nell’università di Chicago. A quel tempo, Jones stava lavorando al porting per Macintosh di un gioco chiamato Minotaur: the Labyrinths of Crete, un’opera realizzata in due dimensioni e che mescolava sapientemente due generi videoludici già agli inizi del 1992.
Si trattava, infatti, di un dungeon crawler con elementi da gioco di ruolo e si distingueva dai suoi competitor per la presenza di un’estesa modalità multiplayer, a quei tempi una rarità, visto che il networking locale non era esattamente alla portata di chiunque. La partnership nata in quell’occasione tra i due studenti di Chicago permise al gioco di essere completato prodotto e distribuito, vedendo la luce a maggio del 1992 e vendendo come nel caso del titolo precedente circa 2500 copie.
La scintilla
Galvanizzati dal successo riscosso dal loro secondo titolo, i due amici iniziarono immediatamente a pensare a un possibile sequel. Durante una notte nei dormitori dell’università di Chicago, Jones ebbe l’occasione di giocare a Wolfenstein 3D: fu talmente folgorato dalla sua grafica tridimensionale, da mettere a punto un intero motore di gioco in grado di rendere tridimensionali i muri dei labirinti presenti in Minotaur: the Labyrinths of Crete, utilizzando esclusivamente rettangoli e trapezoidi.
Cambio di strategia
Il sequel di Minotaur, però, non vide mai la luce e i due sviluppatori si videro costretti a riscrivere completamente la storia del loro terzo gioco. La visuale top down utilizzata per il gioco non s’adattava a una rappresentazione 3D: un cambio di prospettiva avrebbe reso l’esperienza troppo distante da quella offerta dal predecessore, impattando negativamente sulla fanbase, che non avrebbe riconosciuto il gioco come un sequel. Facendo tesoro delle esperienze passate, i due membri di bungie capirono anche che la natura multiplayer del gioco, avrebbe rappresentato una battuta di arresto nelle vendite, in quanto avrebbe reso imprescindibile la presenza di un modem, che all’epoca non era né economico né di facile reperibilità.
Pathways Into Darkness
Questa inversione di marcia rappresentò un punto di svolta: il motore grafico creato da Jones fu migliorato e utilizzato per creare il primo sparatutto 3D a marchio Bungie, Pathways Into Darkness.
Pathways Into Darkness, rilasciato nell’agosto del 1993, fu fortemente acclamato dalla critica e vinse diversi premi, che negli anni precedenti erano stati assegnati ai migliori videogiochi per Macintosh. Il primo grande successo commerciale contribuì a gettare le basi di una più strutturata organizzazione aziendale. Bungie era ora pronta a trasferirsi in una sede diversa dall’appartamento di Alex e ad accogliere nuovi dipendenti, con Jones alla direzione della parte tecnica e Seropian alla direzione di quella commerciale.
Marathon
Il tempo passava e il gameplay offerto da Pathways Into Darkness iniziava a diventare troppo semplice per poter essere riproposto in un nuovo progetto; era dunque necessario introdurre degli elementi capaci d’innovare il modo in cui gli utenti erano abituati a giocare. L’ingresso nell’olimpo dei grandi produttori di videogame fu determinato dal loro quarto titolo, capostipite del primo franchise di Bungie e la saga di Marathon fece per il videogioco su Macintosh quello che la saga di Doom fece per il videogioco su PC.
Il nuovo first person shooter di Bungie era da considerarsi di fatto tecnicamente superiore al titolo realizzato dalla celebre id software. Marathon, infatti, vantava l’introduzione di numerosi concetti innovativi nella meccanica di gameplay. Per la prima volta nella storia era concesso al giocatore di mirare manualmente sui nemici, spostando la visuale anche in alto e in basso e non solo a destra e sinistra. Furono introdotti il concetto di arma secondaria e quello di rocket jumping, ovvero la possibilità servirsi dello slancio dato da un esplosione per raggiungere luoghi posti a una distanza maggiore di quella coperta dal semplice salto.
L’approdo ai PC
Marathon fu rilasciato il 21 Dicembre 1994 con un grande sforzo profuso dal team di sviluppo, che lavorò per una media di 16 ore giornaliere pur di poter rilasciare il titolo prima di Natale. Fu seguito dagli altri sequel, Marathon 2: Durandal, che introdusse il supporto al multiplayer, e Marathon Infinity, che concluse la saga il 15 Ottobre 1996. Il successo riscosso dalla saga permise a Bungie d’ampliare ulteriormente il proprio organico, potendo finalmente rilasciare i propri prodotti anche su PC, scelta che le garantì una maggiore diffusione al livello globale e un numero crescente di consensi da parte della critica e dei fan.
Myth
Bungie stava crescendo bene e il suo rateo rimase costante fino all’inizio all’inizio degli anni 2000. Furono esplorati nuovi generi e create nuove proprietà intellettuali, dando vita alla saga di Myth, composta da due giochi di strategia in tempo reale con visuale aerea, e Oni, uno splendido third person brawler pubblicato su Mac, PC e PS2.
Con l’avvento del nuovo millennio, il contributo di Bungie al mondo dei videogiochi era già noto a tutti gli appassionati, ma qualcosa di ancor più grande bolliva in pentola. Microsoft stava per imporre pesantemente la propria presenza nel mercato videoludico dando vita alla sua prima console e necessitava di un team in grado di sviluppare un applicativo che ne sfruttasse al meglio tutte le potenzialità. Il gamepad della prima XBOX sembrava progettato appositamente per facilitare gli utenti nelle dinamiche di gioco proposte dal genere first person shooter…
L’arrivo di Microsoft
Il 19 Giugno 2000 fu annunciata l’acquisizione di Bungie da parte di Microsoft, che garantì al colosso di Redmond l’esclusività dei titoli sviluppati per la sua XBOX. Da questo matrimonio nacque una pietra miliare del mondo dei videogiochi con Halo: Combat Evolved, rilasciato il 15 Novembre 2001. Fu un’opera di una potenza talmente dirompente, da essere destinata a cambiare per sempre il modo in cui erano concepiti gli sparatutto e a costituire di fatto il motivo principale per spingere qualsiasi appassionato di videogiochi ad acquistare la console di casa Microsoft.
Halo
Il successo di Halo fu planetario, con quasi 5 milioni di copie vendute, fatto che spinse Microsoft a commissionare a Bungie nuovi capitoli del brand, con standard qualitativi sempre maggiori e tempi sempre più stretti. Le vendite della saga di Halo continuarono a destabilizzare i mercati mondiali per i successivi cinque anni, tuttavia, a causa del sempre maggiore impegno richiesto per la produzione di titoli con una qualità così alta, Bungie subì una forte crisi, che la portò anche all’abbandono del suo fondatore, Alexander Seropian, il quale lascio l’azienda per fondare un nuovo studio. Orfani di padre, i vertici di Bungie decisero di interrompere i rapporti con Microsoft dopo il rilascio di Halo 3.
La separazione non fu indolore: l’incredibile potenza economica di Microsoft costrinse Bungie a realizzare altri due titoli per XBOX 360, Halo 3: ODST e Halo Reach, opere di qualità nettamente inferiore alla trilogia originale. Come se non fosse abbastanza, Bungie dovette pagare a caro prezzo la sua uscita dalla Microsoft Game Division, perdendo la proprietà del brand rappresentato da Masterchief e Cortana, che fu passato nelle mani di 343 Industries.
L’indipendenza
Il 1° Ottobre 2007 Bungie rinacque come compagnia indipendente, col nome di Bungie Limited Layability Company. L’agognata indipendenza ebbe però vita breve: infatti nell’Aprile 2009 ci fu un nuovo matrimonio, questa volta con Activision Blizzard.
L’arrivo di Activision Blizzard
Lo scopo dell’accordo decennale era lo sviluppo di un altro sparatutto ad ambientazione fantascientifica, che avrebbe dovuto far coesistere una campagna a giocatore singolo e una modalità multiplayer online, in modo da fornire un massivo supporto post lancio e offrire un universo in continua espansione. Dai citati presupposti, il 9 Settembre 2014 nasce Destiny, un’altra proprietà intellettuale Bungie destinata a fare la differenza nel panorama videoludico mondiale.
Destiny
Fin dai primi momenti il gioco suscitò nel pubblico opinioni contrastanti. Molti gridarono al miracolo, avendo la possibilità di giocare dopo tanto tempo a un nuovo Halo, ma l’introduzione del modello game as a service e delle conseguenti micro transazioni fini per indirizzare (almeno in parte) il titolo verso una specifica categoria di giocatori, alterandone fortemente equilibri e bilanciamenti.
Il know how di Bungie era comunque troppo vasto per arrendersi e il team riuscì a dare nuova linfa vitale al brand per mezzo di un sequel: il 6 Settembre 2017 atterra nei negozi Destiny 2. Anch’esso si rivelò un successo e, come il suo predecessore, fu caratterizzato dallo stesso modello di vendita e dal massivo supporto post lancio. Nonostante la qualità crescente delle produzioni legate a un brand che ancora oggi vanta una community di decine di migliaia di giocatori, le numerose differenze di vedute sul futuro della serie portarono Bungie a non rinnovare l’accordo con Activision Blizzard.
Una nuova indipendenza
Dal 2019 Bungie è di nuovo indipendente e, al contrario di quanto accaduto in passato, l’esito dell’ultimo divorzio la vede protagonista, unica proprietaria e responsabile del brand di Destiny e di tutto quanto da esso deriverà. Il secondo capitolo continua a espandersi e a ricevere supporto, la community è viva e la gente si diverte. Il modello di vendita permane quello del game as a service e per il momento non accenna a cambiare.
Non ringrazieremo mai abbastanza Bungie per averci insegnato a sparare. Pur non sapendo cosa ci riserverà il futuro ed essendo coscienti che il videogioco rappresenta per tutti una grande opportunità di business, non smettiamo di augurarci che una competenza talmente forte da aver scritto pagine di storia sia messa a servizio di un intrattenimento equo ed equilibrato, che permetta al più bravo di prevalere sul più ricco.