Weird Science | Come comunicare con gli alieni?
Come comunicare con gli alieni?
«Mentre vagavo nello Spazio, un pensiero continuava a ronzarmi nella testa: ogni parte di questo razzo è stata fornita da quelli che hanno fatto l’offerta più bassa».
Caro alieno ti scrivo
Amy Adams ha avuto i suoi bei problemi a tentare di comunicare con gli alieni di Arrival, problemi che realmente potrebbe essere difficile superare. Il film di Villeneuve però è fantascienza e s’occupa di uno step successivo: gli alieni sono arrivati e bisogna trovare il modo di parlare con loro. L’astronomia, invece, è un passo indietro, perché non c’è ancora stato un primo contatto. Quindi facciamo un passo indietro anche noi e torniamo agli anni ’70.
Non proprio una lettera
Diciamo che vogliamo fare in modo che qualcuno s’accorga di noi. Qualcuno di molto lontano che, per quanto ne sappiamo, non può immaginare nulla del nostro mondo. Mandare un messaggio come fosse una lettera non ha quasi senso. in quanto direbbe a una razza aliena solo che esiste un’altra specie intelligente, ma darebbe pochissime informazioni. Ci vuole qualcosa di più specifico. Immaginate la delusione: ricevete un messaggio alieno e quanto ottenete sono suoni gracchianti impossibili da capire e nessun’altra informazione capace di sedare la vostra curiosità.
Un linguaggio universale
Il problema se lo posero Carl Sagan e Frank Drake, proprio quello dell’equazione omonima, i quali decisero d’optare per il linguaggio universale della matematica. Così, nel 1974 inviarono un messaggio in codice binario dal Radiotelescopio di Arecibo. Organizzato utilizzando due numeri primi (23 e 73) e il loro prodotto, il messaggio offre a chi mai dovesse captarlo una raffigurazione grafica e matematica di alcune caratteristiche della nostra specie, come i numeri da 1 a 10, la struttura del nostro DNA e perfino una rappresentazione di come siamo fatti fisicamente.
Il messaggio di Arecibo fu inviato verso l’ammasso globulare della costellazione di Ercole e ci metterà all’incirca 25.000 anni per arrivare e lo stesso tempo prima di ricevere un’eventuale risposta. Altro tentativo di lasciare una traccia è affidato alle sonde Voyager, che trasportano un disco d’oro nel quale sono incisi suoni e voci della Terra, mentre una placca con un disegno semplice ma dal contenuto denso di informazioni è stata affidata alle sonde Pioneer 10 e 11, rispettivamente nel 1972 e nel 1973.
E fossimo noi gli alieni?
Finora abbiamo visto i nostri tentativi di lanciare un messaggio, ma dobbiamo ipotizzare che, se c’è qualcuno là fuori, forse sta facendo le stesse prove. Il programma Seti è da anni alla ricerca di un messaggio di questo tipo e, se avete visto Contact o letto il libro di Sagan dal quale è tratto, potete ben immaginare le implicazioni che avrebbe il captare un saluto proveniente da un altro mondo.
Il Segnale Wow
Il 15 Agosto 1977, a riprova che la ricerca di vita extraterrestre non va in ferie, questo saluto potrebbe essere arrivato. Infatti in quell’anno fu identificato un segnale di brevissima durata, qualcosa che difficilmente gli scienziati d’allora avrebbero potuto attribuire a eventi cosmici naturali. Fu chiamato Segnale Wow, perché lo scienziato Jerry R. Ehman che analizzava i dati del radiotelescopio Big Ear non potè fare altro che esclamare «wow!».
Il Segnale Wow durò solo 72 secondi e non fu più rilevato, dando il via a speculazioni su una sua origine non proprio extraterrestre. La ricerca di un segnale e, al contempo, le modalità con la quale mandare un messaggio facilmente identificabile come non naturale sono temi non solo interessanti per noi, ma anche per un’eventuale razza aliena con lo stesso scopo e forse sta cercando di risolverli stando con le orecchie tese, esattamente come noi.
Possiamo essere ottimisti
Date le distanze, forse non lo abbiamo ancora ricevuto perché semplicemente non è ancora arrivato a portata. Forse, invece, stanno trasmettendo con una tecnologia che non riusciamo a captare. L’ipotesi più triste sarebbe quella di ricevere un messaggio postumo, cioè inviato da una società nel frattempo estinta. Ma possiamo essere ottimisti e immaginare una razza tecnologicamente evoluta che, viaggiando nell’Universo, capta uno dei nostri messaggi o delle nostre trasmissioni e che, spinta dalla curiosità, decida che la Terra val bene una capatina.
Come comunicare?
Così, semplicemente, ricevono il messaggio di Arecibo, lo decodificano velocemente proprio perché studiato per essere facilmente traducibile da una razza intelligente e puntano la loro astronave verso il piccolo puntino blu… Ora possiamo tornare ad Arrival e immaginare che si sia già stabilito un primo contatto, qualcosa di simile a un «oh, eccoli!».
Il problema successivo è, ovviamente, comunicare. Prima di tutto supponiamo che gli organi vocali nostri e dei nostri ospiti siano simili in maniera da riprodurre più o meno la stessa gamma di suoni. Non è così scontato, perché gli alieni potrebbero avere forme di comunicazione diverse. Senza tirare in ballo telepatia o roba simile, basterebbe che avessero la capacità di produrre frequenze a noi impercettibili per rendere più complesso qualsiasi tentativo.
Che dire, poi, se incontrassimo una razza che usa, insieme alla parola, anche un codice comunicativo diverso? Immaginiamo una razza che possa variare il colore della propria pelle e che usi questa capacità per dare a una parola o a una frase un senso diverso o una sfumatura più marcata. Potremmo capirli, ma sarebbe più difficile e, sicuramente, non potremmo mai parlare come loro. Si tratterebbe di difficoltà che vanno oltre la capacita di riuscire a trovare una chiave di traduzione.
E in quale lingua?
Possiamo poi anche chiederci, che lingua insegneremmo loro? Un’astronave che decidesse d’atterrare in Cina poiché popolata dalla maggior parte degli esseri umani sarebbe accolta da funzionari cinesi in primis e poi, forse, anche da emissari di altre nazioni. Gli alieni si troverebbero di fronte una vera Babele di nuove lingue. Stessa cosa potrebbe capitare a noi, in quanto è lecito pensare che anche gli extraterrestri possano avere una lingua franca più o meno conosciuta da tutti. Ma è altrettanto plausibile che, come noi, abbiano una serie di lingue diverse o, semplicemente, di dialetti.
Le ipotesi dei film
In Incontri ravvicinati del terzo tipo il primo contatto avviene con la musica, linguaggio matematico e universale. Potremmo non essere così fortunati. In Contact, invece, gli alieni rimandano indietro una trasmissione televisiva di Hitler, inserendovi informazioni preziose e ancora utilizzando la matematica. Sono sistemi perfetti per un primo fugace saluto, ma poi serve altro, come un vocabolario e una grammatica di base, anche solo per capire che tipo di persone sono.
Forse non è scontato pensare a una razza aliena con tecnologia in grado di creare sofisticati traduttori, strumenti in grado d’analizzare una lingua e, in un tempo relativamente breve, d’impararla e riprodurla: renderebbe le cose più semplici. Qualcosa del genere esiste nell’universo di Star Trek, ma nella serie Enterprise il primo equipaggio dell’astronave si dota, e fa bene, di una linguista. Di cose da dire ne abbiamo tante (e anche loro sicuramente) e quando sarà il momento riusciremo a farlo forse meglio di quanto accade in Arrival. Anche perché, se fossero ostili, lo sapremmo subito. Utilizzerebbero un altro linguaggio universale, la guerra.