Harrison Ford: entrare nei nostri cuori in meno di 12 parsec
Harrison Ford
«I’m like old shoes. I’ve never been hip. I think the reason I’m still here is that I was never enough in fashion that I had to be replaced by something new».
Meno di 12
Qual è l’unità di misura del genio? E quella del successo? Come si calcola il peso specifico dell’influenza di un uomo nell’immaginario collettivo? Di solito per stabilire con precisione il metodo di calcolo per questo genere di cose si ricorre ai riconoscimenti. Premi come il Nobel, il Pallone d’Oro o l’Oscar incidono per sempre il nome di qualcuno nel pantheon di riferimento del rispettivo campo d’azione. Per un attore, quindi, dovrebbero essere i premi conseguiti a determinare, nel corso del tempo, l’impatto avuto sul pubblico e nella storia della settima arte.
Le eccezioni
Eppure, non sempre questa cartina di tornasole è in grado di restituire la verità. Molti sono i casi di celebri star della storia del cinema rimaste a secco di premi Oscar, ma comunque in grado di splendere nel firmamento del grande schermo come stelle di prima grandezza. Tra i molti giganti rimasti a guardare i colleghi far incetta di statuette, annoveriamo tra i fasti meno recenti artisti del calibro di Robert Mitchum, Kirk Douglas, Greta Garbo o Marlene Dietrich o, riferendoci a interpreti più contemporanei, Tom Cruise, Kevin Costner o Glenn Close, tutti attualmente sprovvisti di Oscar sulla mensola del camino. Questo, però, non ridimensiona in alcun modo il loro peso o il loro talento.
L’attore dei record
Tra gli snobbati dalla Academy, per esempio, spicca Harrison Ford, l’attore che detiene il record d’incasso complessivo più alto di sempre. Il che vuol dire che il genere umano, in presenza di questo attore, ha portato più soldi che per chiunque altro nelle tasche dei produttori. Forse, oggi per il magnifico Harrison Ford qualcuno a Hollywood sta pensando di riservargli un Oscar alla carriera…
Ma l’attore che più di ogni altro sul pianeta ha saputo fare breccia nel cuore della gente non ha certo bisogno di questo riscontro per sapere quanto la sua carriera sia stata eccezionale. Vuoi per la scelta di personaggi insuperabili, vuoi per la garanzia di qualità che, quasi sempre, la sua presenza ha garantito alle pellicole cui ha preso parte, Harrison Ford è senza dubbio uno degli attori più iconici della storia del cinema di tutti i tempi. Eppure, il mondo ha corso il rischio di non notarlo.
Gli esordi difficili
Dopo la fine tumultuosa degli studi e i primi sparuti tentativi d’imporsi con la recitazione, infatti, il giovane Harrison Ford non riesce a sentirsi realizzato. I progetti che gli propongono, i ruoli tra cui scegliere, non fanno per lui, lo lasciano in secondo piano, non permettendogli di spiccare. Tra comparsate firmatissime, come in American graffiti o Zabriskie Point, supera di molto i trenta prima d’essere benedetto da Steven Spielberg, che lo suggerisce a George Lucas per il ruolo di Han Solo, in Star Wars.
Han Solo
Ha 35 anni ed è perfetto per il ruolo del contrabbandiere che ha coperto la rotta di Kessel in meno di 12 parsec. Ma per tutti Star Wars è un salto nel buio e, di fronte all’incommensurabile successo, Harrison Ford si frega le mani, consapevole che ora potrà lavorare e bene. Infatti, dopo avere oscurato Mark Hamill, protagonista del film, Harrison Ford si mangia il mercato degli anni ’80, interpretando alcuni dei ruoli più riconoscibili del decennio.
Oltre a portare a casa la trilogia di Guerre stellari, diventa Deckard in Blade runner per Ridley Scott, assume i panni del detective John Book in Witness, per la regia di Peter Weir, che gli vale, a ora, l’unica nomination all’Oscar della sua carriera; indossa per ben tre volte il cappello e la frusta di Indiana Jones, il ruolo che più di tutti segnerà la sua carriera indelebilmente con I predatori dell’arca perduta, Indiana Jones e il tempio maledetto e Indiana Jones e l’ultima crociata.
Padrone del suo destino
Padrone del suo destino, passa con disinvoltura da ruoli drammatici a commedie brillanti, alternando Frantic a Una donna in carriera. Mantiene questo trend inalterato per tutti gli anni ’90, potendo contare su un fascino universale che gli permette di mantenersi credibile e brillante in ogni contesto. Da Presunto innocente a Il fuggitivo, passando per A proposito di Henry, Sabrina o Air Force One, Harrison Ford diventa il più potente catalizzatore hollywoodiano di blockbuster, pur rimanendo idealmente legato ai ruoli principali degli anni ’80.
Il nuovo millennio
Il nuovo millennio inizia alla grande, premettendogli di mettersi al servizio di autori come Robert Zemeckis, che lo vuole per Le verità nascoste, o Kathryn Bigelow, che lo mette al centro del suo K-19; ma il momento più atteso è il 2008, quando indossa nuovamente la giacca di pelle per Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo. Tra antistorici accenti sovietici e celebrativi busti ruzzolanti, si iniziano a percepire gli scricchiolii del tempo.
Seppur bene, Indy è invecchiato, e così i suoi autori. Anche il pubblico è cambiato e, di fronte a certe scelte, rumoreggia in sala, come quando si salva da un’esplosione atomica nascondendosi in un frigo, dimenticando evidentemente di quando è scampato a un disastro aereo buttandosi sull’Himalaya a bordo di un canotto.
Tuttavia, Harrison Ford non si lascia fermare dalle critiche e, convinto dei suoi mezzi, continua a girare con una media di quasi un film all’anno per tutto il nuovo decennio, nel quale si presenta l’occasione di rivestire ancora i panni di Han Solo, ne Il risveglio della Forza, e quelli di Deckard in Blade runner 2049. Le considerazioni fatte per il quarto Indiana Jones persistono ma, in fondo, non a tutti importa realmente di salvaguardare il ricordo, i personaggi di Harrison sono amati ed è bello, oltre che redditizio, vederli tornare.
Atterrare mai
Del resto il cinema come detto è cambiato, i suoi lustrini sono digitali, il pubblico s’è fatto smaliziato e i social ne sono l’ingombrante cassa di risonanza. Ma Harrison Ford non sembra avere alcuna intenzione di mollare, determinato a mantenersi in volo nel cielo delle stelle, indipendentemente dal trovarsi a bordo di un aereo presidenziale, un biplano o il Millennium Falcon, quasi a voler rendere realistica una delle sue più celebri battute: «Pilotare sì, atterrare no!».