Il Signore degli Anelli: il cartone che ci incatenò nel 1978
Il Signore degli Anelli
«Un Anello per domarli, un Anello per trovarli, un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli».
Un anello per domarli
I Signori degli Anelli sono tre. Il primo è quello vero, il libro di Tolkien, capostipite del Fantasy e pietra miliare della letteratura del Novecento. Poi c’è la trilogia cinematografica di Peter Jackson che, malgrado le incoerenze narrative, ha impilato premi e incassi, fino a sfiorare i bastioni di Orthanc. E poi c’è il terzo dei Signori, quello che nel 1978 portò metà dell’opera al cinema, in un epico e sciagurato lungometraggio animato.
La regia di Ralph Bakshi
Il regista chiamato all’impresa è Ralph Bakshi, pioniere del cinema d’animazione per adulti. Dopo aver firmato il leggendario Fritz il gatto e alcuni altri controversi lavori, s’appassiona al rotoscope e scopre di poterne distillare delle immagini straordinarie e stranianti, molto diverse da quelle ottenute dagli autori del passato, in Biancaneve e i sette nani o I viaggi di Gulliver.
Il rotoscope
Effettivamente il rotoscope, la tecnica in cui i disegni sono ricalcati da fotogrammi ricavati da riprese reali, è stato usato, nella sua lunga storia, principalmente per conferire un effetto di maggiore realismo. In Wizards, nel 1977, Bakshi scopre che può evocare dei fantasmi nei suoi film. Eserciti spaventosi e magnifici, perfino psichedelici a tratti, capaci di dare al grande schermo un senso veramente altro, distorto. L’ideale per dare una forma al mondo degli spettri dell’Anello.
Il progetto per portare il libro di Tolkien al cinema è in piedi da quasi dieci anni, ma una serie di perverse derive di John Excalibur Boorman nella scrittura della sceneggiatura convince i produttori di United Artists a licenziarlo e a cambiare timoniere. Bakshi adora il romanzo e convince la produzione a dividere il film in due parti, con l’impegno di trasferire nella pellicola il più possibile dell’opera tolkieniana.
Una resa magnifica
Malgrado alcune imprecisioni, il lavoro di Bakshi e dei suoi sceneggiatori è considerato omogeneo al romanzo. Ma è la resa scenica a restare negli occhi. Il film è splendido, incorniciato in una fotografia cupa e maestosa, come quella conosciuta da chi ammira la vicenda; i personaggi che lo animano, pur con qualche stravaganza, risultano credibili e vicini a quelli cartacei. Per la mia generazione è una sorta d’imprinting.
Il primo Sam
Mai per me Samvise Gamgee sarà il comunque splendido Sean Mickey Austin. Egli avrà sempre l’aria sempliciona e ruspante, più vicina a quella degli halfling di Dungeons & Dragons del cartone animato.
Il Signore degli Anelli dovrebbe uscire con la dicitura Prima parte nel titolo, per far capire che è previsto un seguito, ma i produttori, temendo balle di fieno ai botteghini, decidono d’ometterlo, rendendo incomprensibile il finale a chi non abbia letto il libro. La vicenda si chiude, infatti, con Gandalf il Bianco trionfante a cavallo, di fronte alla fortezza di Helm.
Una scelta incomprensibile
Malgrado l’aver più che decuplicato i ricavi, la produzione decide, però, che non vale la pena rischiare d’avventurarsi in un sequel e lascia Bakshi senza il suo sequel, il povero sceneggiatore Peter S. Beagle col suo magro compenso di 5.000 dollari per il lavoro e nessun milione per il seguito come da accordi; Frodo e Sam sono abbandonati alle porte di Mordor, in una dimensione oscura, sospesa tra Han Solo nella grafite, Doc nel West e l’istantanea di Tekkaman, per capirci.
Il vero tombolino è intitolare Il ritorno del Re il lungometraggio animato del 1983, che dà un finale anche al film per bambini tratto da Lo hobbit e lasciato a metà. E, per giunta, senza rotoscope.
Seppur monca, l’opera di Bankshi è comunque considerata tra i film d’animazione più belli della storia del cinema, per molti versi seminale per quella che sarebbe stata la seconda fioritura della Terra di Mezzo.
Pittura cinematografica
Caratterizzato da una cura maniacale dei dettagli, al punto che il regista lo definì pittura cinematografica, questo Il Signore degli Anelli è forse uscito solo troppo presto.
Nell’esercito di animatori che doveva dare forma a quello degli orchi, spicca perfino un giovanissimo Tim Burton: chissà che influenze avrebbe avuto il seguito su di lui, ma tant’è.
Un film da non perdere e da ricordare
Di questo film ricordiamo il rosso della veste di Saruman, l’aspetto Navajo di Aragorn, quello vichingo di Boromir… Resta negli occhi, più di ogni altra cosa, l’indimenticabile scena dei nazgul spazzati via dai cavalli d’acqua del guado del Bruinen, un’intuizione poi ripresa fedelmente da Peter Jackson nel primo dei suoi film, in ossequio all’impegno di rispettare l’opera del maestro, una cavalleria di onde piumate.