Jason Momoa: perché perdonare gli emboli dei nostri partner
Jason Momoa
«I’m one of those freaky people that actually reads books».
Lo stallone hawaiano
Viviamo in tempi nei quali la tecnologia fa miracoli e siamo indubbiamente fortunati a poter vedere prodigi della scienza che i nostri nonni, ma anche i nostri padri, potevano immaginare e solo se dotati di grande fantasia. Il nuovo millennio è poi stato portatore di grandi innovazioni, alcune delle quali hanno lasciato segni indelebili nelle nostre vite. È il caso, per esempio, della serie Baywatch, ambientata nelle assolate spiagge della California: partita col botto, grazie alle sceneggiature minimaliste e a un uso sapiente del rallenti, appassionò milioni di spettatori in tutto il mondo, dal 1989 al 2001…
L’arrivo con Baywatch
Ma nelle ultime stagioni s’iniziava ad avvertire un po’ di stanchezza e allora serviva correre ai ripari. Si decide per l’inserimento di un nuovo, profondissimo personaggio: per rimanere nei costi piuttosto contenuti di una serie al tramonto, si decide d’usare una tecnica che già aveva dato soddisfazioni, quand’era stata introdotta Pamela Anderson nel cast. I produttori, quindi, s’affidano ai maghi degli effetti speciali: questi, dosando CGI, Photoshop e altre diavolerie, elaborano da un poster un’immagine 3D e la presentano al mondo col nome di Jason Momoa.
E dopo?
È un successone e, a parte i reset necessari ogni tanto, quando l’attore doveva recitare battute di più di cinque parole, le cose vanno benone. Baywatch poi finisce, come tutte le cose, e i suoi droni sono messi da parte. Westworld è ancora lontana nel futuro (e comunque per quella serie servono androidi espressivi), ma s’è investito troppo in Jason Momoa per lasciarlo ammuffire: un piccolo aggiornamento al firmware che lo renda in grado d’inarcare il sopracciglio e s’è pronti a rilanciarlo sul piccolo schermo…
Va bene, lo ammettiamo: siamo un po’ invidiosi di Jason Momoa, ma lo perdoniamo, fosse solo perché grazie a lui le nostre compagne della vita sono venute al cinema per un qualche filmaccio di supereroi, che altrimenti avremmo visto al massimo con un altro nerd sudaticcio al nostro fianco. Nato da un mix di geni che comprende le più svariate etnie, comprese radici dei nativi americani, ma di nazionalità hawaiana, Jason Momoa inizia la sua carriera come fotomodello.
Stargate
È anche insignito nel 1999 del premio Fotomodello dell’Anno, rendendo orgoglioso Derek Zoolander, che pare gli abbia insegnato i segreti della sua espressività: ma lo ripetiamo, non siamo invidiosi! Proprio perché forte di cotanto curriculum arriva Baywatch e, una volta concluse le sue corse al rallenti sulla spiaggia, approda nella serie di fantascienza Stargate: Atlantis (2005-2009), a partire dalla seconda stagione.
Il suo personaggio è molto apprezzato anche dai dotati di cromosoma X (maledetti, lo avete incoraggiato!) e a Stargate: Atlantis Jason Momoa rimane fino all’ultima stagione. Poco dopo, alcuni produttori di HBO iniziano il casting per una serie fantasy nata dai romanzi di uno scrittore, all’epoca noto solo agli appassionati, George R.R. Martin.
Game of Thrones
Lo sapete, parliamo di Game of Thrones, sul cui finale ancora ci stiamo scannando: Jason Momoa è scelto per interpretare le mille sfaccettature del poliedrico Khal Drogo, ruolo in cui mette tutto se stesso. La serie è un successo mondiale e il suo nome è spinto in alto, sull’Olimpo delle star.
Nello stesso anno, poi, passa anche al grande schermo, scelto come protagonista del remake Conan il barbaro (2011), che interpreta in barba all’Arnoldone, forse caricando il personaggio di qualche piccola sfumatura in più del predecessore (due in tutto). Non è proprio un capolavoro, ma Jason Momoa fa il suo lavoro al meglio delle sue capacità e continua a conquistare fama.
Aquaman
Al contrario di alcuni illustri colleghi, ha dalla sua qualche arma in più per imporsi in ruoli più fisici che, per esempio, sarebbero preclusi a un Kit Harington qualsiasi e nel 2014 a qualcuno viene in mente che non ci sia attore migliore per interpretare il biondo Aquaman. Eccolo dunque apparire prima fugacemente in Batman v Superman: Dawn of Justice (2016) e successivamente guadagnare il suo posto tra i supereroi in Justice League (2017), per riprendere infine il ruolo anche nel suo stand alone, Aquaman (2018).
Se Batman v Superman: Dawn of Justice ha i suoi difetti (che si riducono molto, va detto, nel momento in cui sborsate qualche euro in più per la Extended Version) e Justice League rende bene in alcuni momenti, senza però mai brillare troppo a meno che non vi stiate riferendo alla Snyder’s cut, pare che in Aquaman l’attore (con rispetto parlando) riesca a fare la sua figura, rendendo il film anche piacevolissimo a tratti.
Una crescita sorprendente
Jason Momoa, insomma, è sicuramente più bello che di talento ma, se dobbiamo esser sinceri, siamo riusciti a notare una crescita decisamente superiore a quella che ci saremmo aspettati, davvero partito solo come poster bidimensionale al quale si chiedeva unicamente di mostrare muscoli ben depilati. Se riusciamo anche solo per un momento a non odiarlo per via di quei sospiri che vengono dal pubblico femminile, potremmo anche ammettere che nel ruolo dell’eroe atlantideo rende più che bene, facendoci scordare la sua lontananza, in termini di tratti somatici, dalla controparte cartacea e creando un eroe più rude e animalesco di quanto non fosse il vero Signore dei Mari, di cui si sta producendo il sequel.
Bello e possibile
La carriera di Jason Momoa è appena iniziata e non sembra così corta come ci si aspettava, magari non tutto è di qualità, ma notiamo un qualcosa in lui che ci porta a essere convinti che una birra insieme la berremmo volentieri, parlando di rugby e facendo a gara di rutti. Insomma bello, sì, ma decisamente molto abbordabile e, forse, diciamo forse, anche capace nel suo lavoro.