Kentaro Miura: l’eredità di sangue del padre di Berserk
Kentaro Miura
«Hate is a place where a man who can’t stand sadness goes».
Le Roi
«Le Roi est mort, vive le Roi!». Quando, il 6 Maggio 2021, Kentaro Miura è morto all’improvviso, nessuno ha potuto pronunciare questa formula che, passata alla storia a partire dal 1422, quando Carlo VII di Valois la usò per reclamare come suo il Trono di Francia, conteso nel corso della Guerra dei Cent’anni, serve proprio allo scopo di comunicare il senso di continuità che una dinastia o un’istituzione dovrebbero conservare, preferibilmente in eterno.
Una questione d’eternità
E l’eternità, sia pure in un’accezione insopportabile, è un concetto ben esplorato dai fan di Berserk: l’opera principale del compianto, maledetto Kentaro Miura. Viziati all’abitudine di un capitolo pubblicato ogni secondo e quarto venerdì del mese fin dal 1989, quando il manga fece la sua prima comparsa sulle pagine di quel Monthly Animal House che poi è diventato il mitico Young Animal, milioni di lettori in tutto il mondo si sono appassionati a una storia travolgente e grandiosa, salvo poi trovarsi, a partire dal 2006, ad affrontare attese spasmodiche di mesi o semestri, finché qualche striminzito capitoletto vedesse la luce e fosse reso fruibile.
Nessun difetto
Forum e comunità online, inizialmente popolati da folle di celebranti in delirio, sono lentamente diventati una processione di prefiche e flagellanti lamentosissimi: Kentaro Miura è più cattivo coi suoi lettori che coi sui personaggi.
È un sadico, un inconcludente, perfezionista e traditore. Tutto verissimo, ma anche ora, dopo un po’ di tempo, quasi certi che il finale di Berserk giaccia sotto due metri di terra o turbini nel vortice di anime dannate assieme al caro Kentaro Miura, ci sentiamo d’affermare che nessuna di queste caratteristiche sia da considerarsi un difetto.
Giappone e non solo
Kentarō Miura ci ha messo più che tutto se stesso dentro le sue tavole. Ha studiato, ha viaggiato, ha assorbito e rielaborato la storia del fumetto nipponico, del Medioevo (e Rinascimento) europei e del cinema hollywoodiano per poi risistemarli pezzo dopo pezzo all’interno della sua grandiosa e violenta epopea.
Sullo sfondo di una narrazione ricchissima, contorta e interminabile, è raffigurata un’età di mezzo dettagliatissima, in cui si riconoscono la già citata Guerra dei Cent’anni e le conquiste della Sublime Porta di Istanbul ai danni dell’Europa Centrale; si indovinano richiami alle Repubbliche Marinare, alle compagnie di ventura, alla peste del 1300, alla Roma papalina, all’Impero Moghul e si possono ammirare scorci del Parco dei Mostri di Bomarzo, di Palazzo Vecchio, della Mezquita di Cordoba.
Un’antologia dell’incubo
Ma questa non è che la superficie: a tutti i livelli, tavola dopo tavola ci s’immerge in un trionfo di contaminazioni e omaggi che popolano una vera e propria antologia dell’incubo.
A partire dal protagonista, Gatsu, ricalcato senza troppi pudori dal guerriero Hyakkimaru del divino Osamu Tezuka (Dororo, 1967), possiamo ritrovare i Cenobiti di Hellraiser passeggiare tra le Scale di Maurits Cornelis Escher e il Trittico delle Delizie di Hieronymus Bosch.
Scoviamo anche i demoni di Go Nagai tornare a consumare ettolitri d’inchiostro per disturbare degnamente i lettori e addirittura un mostriciattolo di gommapiuma che s’intravvede nelle prigioni di Arborea in Flash Gordon (1980) prestare le proprie fattezze al primo vero avversario del Guerriero Nero.
Una narrazione rossa come il sangue
In questo mondo d’orrore, in cui l’opprimente Male sovrannaturale va a braccetto con la più familiare e variegata ma non meno soffocante malvagità del genere umano, si incrociano, rimanendo incastrati in modo efficacissimo, i destini di personaggi straordinari.
Profondi, controversi, quasi mai del tutto originali, assolutamente mai banali, ognuno di essi porta il proprio contributo più o meno intenso, ma sempre significativo, elfi e preadolescenti compresi, a una narrazione che come il flusso sanguigno muta di ritmo e velocità, ma che fino all’ultimo non s’arresta mai del tutto.
A proposito di torrenti circolatori, l’aorta è il vaso sanguigno più grosso di tutti: parte dal ventricolo sinistro, al centro del cuore, e da lì si snoda per circa 40 centimetri, dando origine a tutte le altre diramazioni che irrorano ogni singola cellula di un organismo.
Quando questo vaso dovesse rompersi, gli oltre cinque litri di sangue che fluiscono nel nostro corpo dilagherebbero ovunque in pochissimo tempo. È un’emergenza chirurgica catastrofica, che richiede intervento immediato, non sempre risolutivo e a tutt’oggi caratterizzato da elevatissima mortalità.
Nessuna speranza
Il 6 Maggio 2021 fa Kentaro Miura è morto proprio per la dissecazione dell’arteria aorta, dissanguando in un istante le già tenui speranze di vedere compiuta l’immane impresa che, al netto di altre pregevoli ma ininfluenti opere, lo ha tenuto impegnato per tutta la sua carriera.
Verrebbe da dire che è morto come ha scritto e disegnato: in un lago di sangue, senza rimedio, senza speranza. Per chi ama la correttezza, la precisione e il lieto fine, Kentaro Miura è semplicemente imperdonabile. Per chi sa che la vita è anche questo e riesce a essere un po’ più obiettivo, è stato un uomo davvero coerente. Le Roi est mort.