«Il sogno non è finito!»

«Non è facile mantenere il fascino dei primi tempi. Tutti danno il meglio di sé all’inizio della conquista.» A parlare è Berlino, il personaggio più amato e controverso de La Casa di Carta e la cui dipartita ha lasciato un vuoto incolmabile. Eppure, lo stesso personaggio continua a tessere il filo conduttore della trama della serie TV. E sono forse proprio le sue parole a dare un senso alla valanga di critiche abbattutesi su La Casa di Carta già a partire dalla seconda stagione, comprese le nostre per il Volume 1 di questo finale così atteso.

Un epilogo apparentemente impossibile

Privata della magia dei primi tempi, sembrava infatti impossibile dare un onesto epilogo alla storia che tanto aveva commosso e appassionato gli animi di milioni di fan. Eppure, proprio come quando un amore finisce, passata la delusione e sfogata la rabbia, non si può che giungere all’accettazione e, se si è maturi e consapevoli, si riesce anche ad apprezzare il buono che c’è stato, a comprenderne l’insegnamento e, a volte, a ricredersi sul fatto che fosse proprio tutta da cestinare.

Oggi guardare il Volume 2 di quella Casa di Carta 5 che tanto aveva deluso e infranto i cuori di chi aveva giurato d’abbandonarla per sempre può significare mettersi l’anima in pace. Crediamo, infatti, che questo epilogo restituisca davvero tutto l’incantesimo, riportandoci indietro nel tempo. Seppur guardandola con gli occhi nostalgici di chi ormai ha accettato l’abbandono, possiamo sorridere e ricongiungerci a La Casa di Carta, amandola diversamente, ma comunque amandola ancora.

Giù la maschera

La Casa di Carta, creata da Alex Pina e diretta da Jusùs Colmenar, si conclude con un finale degno del suo inizio: intelligente seppur paradossale, commovente nonostante gli eccessi, emozionante a dispetto delle forzature e onesto malgrado l’incongruente illogicità. Ma, a guardare bene, è proprio quel sistema mondiale a essere stato messo sotto accusa e a contenere in sé il paradosso, l’eccesso, le forzature e l’illogicità. La Casa di Carta, dietro l’ormai famosa maschera di Dalì, ha puntato il dito contro di esso e ci ha riportato a sognare nostalgicamente a una rivoluzione possibile cui, nostro malgrado, abbiamo rinunciato a credere.