Mario Bava: il Maestro italiano che ha ispirato Hollywood
Mario Bava
«Le mie fantasie sono sempre orribili».
L’italiano che ispirò Hollywood
Sono pochi i registi italiani tanto capaci e talentuosi d’aver influenzato le generazioni successive. Mario Bava, classe 1914, è sicuramente uno di questi. Come spesso accade, però, inizialmente non fu considerato un Maestro, almeno in patria. Per molti anni, infatti, fu ritenuto solamente un regista di B-Movie. In effetti le sue sono sempre state produzioni a bassissimo costo, ma ai critici sfuggiva, tristemente fino alla sua morte, avvenuta nel 1980, la capacità unica di Mario Bava di dar vita a piccoli capolavori, sfruttando i mezzi poverissimi messi a sua disposizione, ma utilizzati al meglio grazie al mestiere e alla sua sensibilità artistica.
I tanti generi di un Maestro
Dall’Horror al Gotico al Noir, non c’è stato genere nel quale Mario Bava non abbia messo a frutto la sua passione e la sua inventiva, tanto da essere ricordato spesso, con citazioni e omaggi, dai suoi colleghi stranieri più prestigiosi, come Roger Corman e Quentin Tarantino, per esempio, ma anche David Lynch e Tim Burton.
La forza delle idee
Insomma, Mario Bava è stato un vero Maestro e colpisce il fatto che, ad analizzare bene i suoi film, la differenza è ottenuta non dalla somma messa a disposizione dal produttore di turno, quanto dalla capacità di capire come sfruttarla al meglio, inventando e reinventando continuamente, sia con la macchina da presa, che col trucco e la fotografia.
Lo vediamo bene ne I vampiri (1956), il primo horror italiano. Mario Bava cura la fotografia e gli effetti speciali per conto del regista Riccardo Freda, col quale collaborerà altre due volte per altri altrettanti film. Riesce a creare l’invecchiamento dell’attrice Gianna Maria Canale con una sequenza unica, senza montaggio, e grazie all’uso sapiente di luci e cerone.
La passione per gli effetti speciali
Gli effetti speciali sono la sua passione fin dall’inizio e pare che abbia anche prestato la sua arte all’Istituto Luce, durante gli anni del Fascismo, montando filmati di battaglie false. Egli stesso raccontava che in Terrore nello Spazio (1965), suo unica incursione nella Fantascienza, aveva solo due enormi massi di cartapesta, che spostava da una parte all’altra del set. Nonostante questo limite evidente, il film ebbe un enorme successo in America e servì da fonte d’ispirazione a Ridley Scott per il suo Alien.
Caltiki
Un altro esempio è fornito da uno dei primi film al quale partecipò, non accreditato. Caltiki: il mostro immortale, qualcosa di molto simile al più celebre Blob, vede Mario Bava nella doppia veste di regista e curatore degli effetti speciali, talmente speciali che il mostro fu creato a partire da alcuni scarti di trippa.
A dimostrazione del fatto che si trovasse più a suo agio con piccole produzioni, c’è la sua esperienza con De Laurentiis, nella pellicola del 1968, Diabolik, tratta dall’omonimo comic. Il noto produttore gli mette a disposizione un budget imponente di circa 200 milioni di lire, la cifra più alta che Mario Bava avrà a disposizione durante tutta la sua carriera e che, tuttavia, non spenderà interamente.
Diabolik
Il film avrà un discreto successo, ma il regista rifiuterà di dirigere il seguito, perché aveva assaggiato il controllo del produttore, il quale gli aveva impedito di girare scene troppo forti, per paura della censura. Ne era rimasto scontento. Nel 1963, infatti, Mario Bava aveva firmato con lo pseudonimo di John M. Old La frusta e il corpo e aveva già sentito il morso della censura per alcune scene che rappresentavano il rapporto masochistico tra una donna e il suo carceriere. Il film andò malissimo nelle sale.
Non solo oro
Non tutto è oro nella sua carriera, però. Erano anni in cui il cinema italiano non era solo florido, ma addirittura ingordo: si girava di tutto. Tra le opere più odiate da Mario Bava, il quale non era mai tenero coi suoi lavori, risultano infatti due film: la commedia Le spie vengono dal semifreddo, con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, il thriller erotico Quante volte… quella notte e, più d’ogni altro, 5 bambole per la luna d’agosto.
Un decennio prima della sua morte, Mario Bava dimostra d’avere ancora inventiva e capacità d’influenzare il resto del mondo. Infatti, nel 1971 arriva Reazione a catena, che inaugura il genere slasher e ispira la saga di Venerdì 13. L’anno dopo è la volta de Gli orrori del castello di Norimberga, un gotico in netta controtendenza rispetto ai film di Dario Argento, che all’epoca dettavano la strada da seguire all’horror italiano.
Il capolavoro Cani arrabbiati
Ironia della sorte, il film considerato il suo capolavoro assoluto non è mai arrivato nelle sale: Cani arrabbiati (1974) non fu distribuito a causa del fallimento della casa di produzione e fu recuperato solo nel 1995, in versione DVD e con un altro titolo, Semaforo rosso. In ogni caso, fu proprio questo film a ispirare Quntin Tarantino per il suo Le iene.
I riconoscimenti
Negli ultimi anni di vita Mario Bava stava ancora lavorando a quello che sarebbe stato il suo secondo film di fantascienza, Star express, e che ovviamente non vedremo mai. Di lui, però, ci rimangono 30 pellicole tra corti e lungometraggi, una cinquantina di collaborazioni in altri lavori e tutti gli onori che colleghi del calibro di Martin Scorsese continuano a elargire nei suoi confronti.
I riconoscimento non provengono solo dal cinema: anche i Black Sabbath scelgono il nome della band dal titolo americano di uno dei suoi film, I tre volti della paura, a episodi e con Boris Karloff, tra l’altro primo esempio di meta-cinema.
Il lascito
Non c’è miglior commiato di una citazione di Roger Corman. Parlando di Mario Bava, disse: «Il suo genio e il lascito per quelli che vengono dopo di lui stanno nel fatto che qualunque siano le condizioni, si possono fare magnifici lavori».