Nick Ryan: «The Enfield Poltergeist mi ha spaventato»
Dal 27 Ottobre sono disponibili su Apple TV+ i 4 episodi della serie documentario The Enfield Poltergeist, dedicato alla più famosa infestazione di poltergeist di sempre, che ha dato vita a una ricca letteratura di genere. L’aspetto più interessante consiste nelle 250 ore di rari e originali audio d’archivio, sui quali la serie ricostruisce in live action i fatti vissuti dalla famiglia Enfield nel 1977, indagando così sul fascino dell’inspiegabile e sull’impatto che ebbe su quanti lo vissero personalmente.
L’importanza del sound design
Per questo motivo, di fronte alla possibilità offerta a Nerdface di poter intervistare in esclusiva chi ha preso parte alla produzione tecnica di The Enfield Poltergeist, non abbiamo esitato un momento nell’indicare in Nick Ryan, sound designer, musicista e compositore, la figura migliore cui rivolgere le nostre domande in merito a una serie di cui vi parleremo a breve e che proprio sul suono basa la sua costruzione.
Intervista a Nick Ryan
Siamo molto grati a Apple TV+ e molto felici per la possibilità d’intervistarti. Spesso la critica non celebra a sufficienza le musiche e il lavoro di sound design nelle opere d’intrattenimento e in The Enfield Poltergeist entrambi giocano un ruolo ancor più determinante, perché la serie è costruita proprio sulle registrazioni originali. Cos’hai provato la prima volta che le hai ascoltate?
Quando Jerry Rothwell, il regista, mi disse d’avere circa 250 ore di registrazioni originali, mi fece anche capire che il suono sarebbe stato il punto di partenza di questa storia. Io ero un po’ spaventato e quando mi mandò il materiale pensai: «Non voglio ascoltarlo!».
Naturalmente ho dovuto farlo e, sin dal primo momento, non mi sono sentito un osservatore di quegli eventi, ma uno dei suoi protagonisti. Ed è esattamente quanto capita col sound design: a differenza di un’immagine, non sei dentro una scena a due dimensioni, ma in uno spazio tridimensionale, vivendo un’esperienza diretta e di prima mano.
Conoscevi già la storia del caso di Enfield?
Sì, qui a Londra è un caso davvero molto famoso e conosciuto. Inoltre, è avvenuto non molto lontano da dove abito…
Qual è stato il tuo approccio al sound design? Quanta parte del tuo lavoro è avvenuta in digitale e quanta, invece, alla vecchia maniera, quella per intenderci che usava le noci di cocco per ricreare il suono degli zoccoli dei cavalli?
Per The Enfield Poltergeist, innanzitutto, ho dovuto fare i conti con lo stato dei nastri, che coprivano circa tre anni di eventi. Il fruscio e un certo rumore di fondo erano tipici di quel supporto e per me e il regista era fondamentale mantenere quell’atmosfera d’autenticità. Per questo motivo, quel minimo restauro necessario non ha voluto intaccarli e, allo stesso modo, abbiamo deciso di mantenere la traccia mono in tutte le parti che narrano la verità dei protagonisti diretti.
Così, la sporcizia del suono è diventata la metafora attraverso la quale capiamo la soggettività di chi ha vissuto quell’esperienza. Abbiamo dunque girato le riprese della serie e le abbiamo sincronizzate con questi audio, che rappresentano le noci di cocco cui hai fatto riferimento tu. I suoni delle azioni messe in scena, invece, che avrebbero dovuto essere presenti e forse non sono stati catturati dai nastri originali, li abbiamo ricreati in studio.
Ti piacciono i film horror? Dopo aver lavorato a The Enfield Poltergeist hai iniziato credere ai fenomeni paranormali, oppure no?
In realtà non ho mai amato particolarmente gli horror… Non mi piace essere spaventato! Eppure, ironicamente, ho finito per lavorare in numerose pellicole di questo tipo, che invece prestano grande attenzione al lavoro sul suono.
Credo dipenda dalle tante scene girate al buio, nelle quali i rumori d’ambiente acquisiscono un’importanza maggiore. The Enfield Poltergeist fa veramente paura, ma non sta a me stabilire se sia una storia vera o meno. Lo stesso Jerry Rothwell lascia al pubblico questa scelta, nel modo con cui ha costruito questo documentario, grazie al quale ognuno può farsi una propria opinione.