Pioneer 10: la sonda con un messaggio | Weird Science
Pioneer 10
«È una bella cosa riscoprire la meraviglia, disse il filosofo».
Ray Bradbury
Il messaggio con la sonda intorno
Lanciata il 3 Marzo 1972, la sonda Pioneer 10 è tuttora in viaggio verso la stella Aldebaran. Nel corso della sua missione ufficiale, ci ha fornito immagini di Giove e Nettuno, oltre a dati importantissimi su come sia effettivamente fatto lo Spazio all’interno del Sistema Solare. Anche se i contatti si sono persi il 23 Gennaio 2003, alla Pioneer 10 e alla sua sonda gemella la Pioneer 11 è stato affidato anche un messaggio rivolto a chiunque là fuori fosse stato in grado di leggerlo.
Un messaggio pieno di speranza
Infatti, sulle due sonde sono state applicate delle targhe in oro e alluminio anodizzato, con incise molteplici informazioni su di noi e sulla nostra posizione nella galassia, con la speranza o anche solo nella remotissima eventualità che qualcuno possa recuperarle e ricevere così il nostro primo ciao cosmico. Quanto questa possibilità sia effettivamente remota è difficile da stabilire, ma cercheremo di fare il punto sulla situazione partendo proprio dalla placca e dalle sue incisioni.
Only human, after all
L’incisione più diretta della placca delle Pioneer mostra due figure umane, un uomo e una donna in piedi, con alle spalle il profilo delle sonde stesse, in modo da poter stabilire delle proporzioni precise.
Le figure sono nude, quantomeno per offrire uno scorcio visivo della nostra anatomia superficiale; l’uomo della coppia solleva un braccio con la mano aperta, in segno di saluto. Ovviamente non si pensava che un essere di un altro mondo potesse capire il gesto tutto umano, ma si è scelta comunque questa posa particolare per mostrare alcune caratteristiche importanti della nostra specie. Caratteristiche che non saremmo stupiti di trovare anche in abitanti di altri pianeti, perché intrinsecamente connesse alla nostra maturazione tecnologica.
In che senso?
Qualunque sia il pianeta dove ci aspettiamo di trovare vita intelligente, capace di recuperare il messaggio delle Pioneer, di sicuro i suoi abitanti devono possedere degli organi di senso in grado di percepire il mondo circostante con una certa precisione. Gli occhi sono importanti e sono un sicuro vantaggio evolutivo, tanto che sono stati selezionati in quasi tutte le creature viventi della Terra.
In alcuni casi si tratta solo di organi in grado di percepire la variazione di luce, in altri di strumenti raffinatissimi adattati alle diverse lunghezze d’onda della luce, ma possiamo ipotizzare che altre specie viventi oltre il nostro Sistema Solare ne posseggano un loro analogo, se non più di uno. Per queste nostre speculazioni ci affideremo spesso alle convergenze evolutive, cioè a quei meccanismi che indicano come diversi organismi viventi tendano a trovare il medesimo adattamento allo stesso ambiente o alle stesse spinte evolutive.
Diversi, ma non troppo
Per semplificare molto, basta guardare un pesce e un delfino. Sono esseri molto diversi, ma la loro forma è simile perché sottoposta alla stessa spinta evolutiva di quasi tutti gli organismi che hanno bisogno di muoversi velocemente in acqua. Uno ha le branchie, l’altro i polmoni, ma entrambi hanno sviluppato pinne caudali e, nel caso del delfino, queste sono state modellate partendo da arti terrestri che alla fine del processo appaiono analoghe a quelle dei pesci. Quindi possiamo immaginare e sperare che anche eventuali alieni posseggano organi analoghi ai nostri occhi, che permettano loro di percepire e manipolare l’ambiente circostante con una discreta precisione.
Mr. OK
Altro particolare importante a essere evidenziato nella placca è il pollice opponibile della nostra specie. Ragionando ancora per convergenza evolutiva, possiamo presupporre che alieni in grado di creare tecnologia debbano avere arti capaci di manipolazioni complesse. Possono essere dita, tentacoli o qualcosa di totalmente nuovo che non possiamo immaginare, ma la loro funzione sarà essere la stessa: creare con precisione.
Per lo stesso motivo possiamo presupporre che abbiano una statura eretta o comunque, nel caso non fossero bipedi, che la loro struttura anatomica permette loro di mantenere due o più arti liberi, invece che usati per la locomozione. È quanto successo ai primi ominidi, che abbandonarono la postura da quadrupedi per quella bipede, che offriva alcuni svantaggi ma forniva loro la possibilità di trasportare oggetti o primitivi utensili.
Spinte evolutive
La capacità di manipolare potrebbe aver dato una fortissima spinta all’evoluzione della nostra specie, giacché un individuo capace di muoversi con una bella pietra affilata sempre in mano poteva trarre grandi vantaggi, da trasmettere poi alla prole. Vorrei essere chiaro: sto semplificando molto con gli esempi solo allo scopo di facilitare la comprensione del discorso.
Coi piedi per terra
Quindi occhi o mani o tentacoli o chissà cos’altro capaci di creare utensili sono caratteristiche degli alieni che potrebbero un giorno imbattersi nella Pioneer 10. Altro aspetto da non sottovalutare è che questi, molto probabilmente, saranno creature terrestri. Gli oceani sono la culla della vita e l’acqua allo stato liquido è uno dei fattori che consideriamo maggiormente, quando valutiamo la vivibilità di un luogo, sia esso sul nostro pianeta o su un altro. Purtroppo, però, creature che si siano evolute totalmente negli oceani potrebbero non aver mai avuto bisogno di sviluppare una tecnologia evoluta fino ai viaggi spaziali.
In fondo agli oceani non puoi forgiare strumenti col fuoco, non puoi costruire computer o radio. Potresti essere intelligente quanto e più degli umani, ma creare tecnologia sarebbe molto più problematico che sulla terraferma e purtroppo la placca della Pioneer 10, per essere totalmente decifrata, ha bisogno di conoscenze tecnologiche e astronomiche piuttosto specifiche.
È matematico!
È ragionevole quindi pensare a una specie aliena che sia terricola, in parte o completamente. Ma badate bene: tutte le caratteristiche finora espresse non presuppongono comunque una creatura di certo umanoide, bensì dotata di caratteristiche tali da permetterle di modificare l’ambiente che la circonda, esattamente come facciamo noi. Che abbia due, quattro o zero gambe non importa; conta invece che possa muoversi lasciandosi due o più appendici libere per la manipolazione; che possa accendere un fuoco e utilizzarne i vantaggi; che possa sviluppare un linguaggio scritto e orale e che abbia abbastanza cervello da capire la matematica. Su quest’ultimo punto non si può proprio transigere.
La lingua dell’Universo
Una chiave di decrittazione ulteriore, incisa nella placca delle Pioneer 10, è la rappresentazione del cambio di spin nell’elettrone dell’atomo d’idrogeno; a unire le figura una linea segnata a metà dalla rappresentazione binaria del numero 1. La scelta non è casuale, perché l’idrogeno è l’elemento più diffuso nell’Universo e perché l’inversione di spin può esprimere una lunghezza d’onda precisa e, al contempo, una frequenza specifica. La lunghezza d’onda può essere poi usata per definire meglio le misure degli esseri umani tramite la rappresentazione del numero 8 in codice binario a fianco della figura femminile e moltiplicandolo per la lunghezza d’onda stessa.
La frequenza, invece, serve se si prende in esame l’immagine più a sinistra della placca. Si tratta della rappresentazione di 15 pulsar note e la loro posizione relativa rispetto al nostro Sole. Le pulsar hanno un periodo di pulsazione regolare e quello delle 15 pulsar è espresso in numeri binari, che hanno come unità proprio la frequenza dell’inversione di spin. Una razza abbastanza intelligente potrebbe capire non solo da dove viene la sonda, ma anche quanto tempo prima del ritrovamento essa sia stata lanciata.
Come capite, ci vuole la conoscenza di alcuni concetti matematici e fisici per poter interpretare bene il nostro messaggio e il problema è che non è detto che una razza aliena, benché intelligente, li possieda. Partiamo da un concetto: l’evoluzione non tende necessariamente all’intelligenza di tipo umano, lo dimostra il fatto che i dinosauri hanno dominato il pianeta per molto, moltissimo tempo e, se non si fossero estinti, forse lo starebbero ancora dominando. Con zanne e artigli e senza immaginare minimamente l’esistenza di una transizione nello spin dell’atomo di idrogeno.
Io ti (quasi) vedo
Tuttavia, per praticità ipotizziamo che un’altra forma di vita, su un altro pianeta, abbia sviluppato un’intelligenza uguale a quella dell’homo sapiens. Quant’è lecito aspettarsi che abbiano poi sviluppato anche una tecnologia complessa e le conoscenze che da essa possono essere ricavate? Possiamo prendere a esempio ancora Avatar e le tribù Na’Vi. Sono intelligenti, ma la loro tecnologia è parecchio indietro rispetto alla nostra ma, se vogliamo guardare più vicino di Pandora, abbiamo esempi simili anche qui.
Armi, acciaio e malattie
Come mai sono stati gli occidentali ad avventurarsi alla scoperta delle Americhe e non invece i nativi americani ad arrivare da noi? La domanda non è di facile risposta, visto che le capacità intellettive sono le medesime in un europeo e in un nativo americano, come anche in un cinese e in un africano. Siamo tutti homo sapiens: quindi, di nuovo, perché siamo stati noi e non loro a sviluppare tecnologia complessa in passato? Lo stesso quesito è stato affrontato da Jared Diamond, nel suo saggio del 1997 Armi, acciaio e malattie.
Lo scienziato ha cercato d’individuare gli elementi che possono aver fatto la differenza, identificandoli nella struttura sociale organizzata in grandi centri urbani; nelle caratteristiche climatiche del nostro continente e in altre peculiarità, come per esempio il fatto che in Eurasia vivessero più animali facilmente addomesticabili. La lettura di questo saggio è già di per sé interessantissima e ci porta a pensare che stiamo cercando una specie che ha avuto condizioni di sviluppo simili alla nostra, tali da permetterle d’uscire da una società tribale per diventare qualcosa di più simile a noi.
Speciali, anzi rari
Non possiamo certo dire con certezza quante probabilità ci siano che sia successo altrove nell’Universo e questo potrebbe portarci, in futuro a chiederci perché siamo andati noi dagli alieni e non siano venuti loro da noi. La risposta è sempre basata sul fatto che potremmo essere più rari di come pensiamo in quanto, come specie e come civiltà, siamo il frutto di innumerevoli variabili, difficili da considerare tutte assieme. Non solo siamo rari noi, ma potrebbe esserlo anche il nostro pianeta e il Sistema Solare tutto.
Il nostro piccolo Puntino Blu
Nella parte inferiore della placca è rappresentato, in maniera schematica, il nostro sistema solare, con le distanze dei pianeti dal sole espresse in numeri binari. È rappresentata anche la Pioneer 10 con il suo punto di partenza e quindi la Terra come facilmente identificabile (si spera) come nostro luogo di origine. Può sembrare scontato che il nostro pianeta si trovi alla giusta distanza, dalla giusta stella, con la giusta composizione chimica e la giusta inclinazione dell’asse, eppure tutto questo non è così usuale come sembra e, anzi, tutte la caratteristiche che hanno permesso alla vita di nascere e poi evolvere possono essere definite come estremamente fortunate.
Tutti noi sappiamo che siamo nella Zona Abitabile dell’orbita attorno alla nostra stella ma, in effetti, anch’essa è in una posizione favorevole. Siamo distanti dal centro della galassia, ci sono meno stelle vicino a noi e questo ci ha permesso di schivare molti dei pericoli che lo Spazio offre. Esplosioni di Supernove, stelle di neutroni troppo vicine con la loro emissione di radiazioni fatali, buchi neri e quant’altro, sono tutti elementi che avrebbero potuto compromettere la nascita della vita sulla Terra, figuriamoci la sua evoluzione fino a homo sapiens.
Stella di minoranza
Noi, invece, abbiamo il nostro Sole, che però non è una stella qualunque. È una nana gialla, una stella medio-piccola di temperatura medio-bassa: due caratteristiche di una minoranza di stelle. Tuttavia, la sua natura gli permette d’avere una certa stabilità, che dura nel tempo.+ Stelle più grandi hanno un ciclo stabile molto più corto, stimato in qualche centinaia di milioni di anni, contro i nove miliardi della nostra stella. Un tempo forse troppo corto affinché si possa arrivare a forme di vita intelligenti. Sulla Terra ci sono voluti quattro miliardi di anni, per esempio.
Non ci sono più le mezze stagioni
Secondo le stime, la maggior parte delle stelle presenti nell’Universo sono più piccole e fredde del nostro Sole, sono Nane Rosse e questo comporta un ulteriore problema. Se la stella è più piccola, allora la sua fascia abitabile è più vicina e questo aumenta le possibilità che il pianeta subisca l’influsso della stella in maniera tale da fargli mostrare sempre lo stesso emisfero. Questo vorrebbe dire avere un pianeta metà arso da un giorno perenne, mentre l’altra metà gelerebbe in una notte senza fine.
Sono caratteristiche poco appetibili per lo sviluppo della vita, sebbene potrebbe svilupparsi magari nella fascia crepuscolare. Però le Nane Rosse restano molto instabili, con brillamenti frequenti. Insomma, se mai qualcuno troverà la placca delle Pioneer 10, possiamo pensare che venga da un pianeta che orbita attorno a una stella simile alla nostra. Per quanto esse siano più o meno solo il 10% delle stelle dell’Universo, il numero è ancora abbastanza alto da poter sperare. Parliamo quindi della Terra, il nostro pianeta fortunato sotto molteplici punti di vista.
Le giuste distanze
La sua orbita lo mantiene sempre alla giusta distanza dal Sole, in maniera che l’acqua possa mantenersi allo stato liquido; in più ha un nucleo di ferro fuso molto massiccio, che le permette d’avere un campo magnetico a protezione delle radiazioni cosmiche e le garantisce anche una certa vivacità vulcanica, importante per mantenere un’atmosfera abbastanza densa. Il fatto fortunato è, però, che questo nucleo sia nato da una collisione primordiale con un altro corpo celeste e da essa il nostro pianeta ha guadagnato anche il suo satellite. La Luna, infatti, si formò proprio a seguito dello scontro cosmico tra la Terra primordiale e un altro pianeta sulla stessa orbita.
Chiedere la Luna
Non possiamo escluderla dall’equazione, perché è grazie all’effetto della Luna se l’asse terrestre si mantiene stabile abbastanza d’avere un clima più compatibile allo sviluppo della vita e alla sua evoluzione fino a una forma in grado di lanciare una traccia di sé nello Spazio profondo. Le variabili sono sempre di più ed è difficile ipotizzare una serie di eventi diversi ma altrettanto fortunati avvenuti in un mondo alieno: tuttavia, lo Spazio è grande e potrebbe essere successo altrove. Di sicuro, una volta è successo, qui.
Dove sono tutti?
La celebre domanda che ha dato vita al Paradosso di Fermi si poneva in contrapposizione all’Equazione di Drake, che si poneva l’obiettivo di stimare a grandi linea il numero di civiltà simili alla nostra nell’Universo. La risposta alla domanda, come abbiamo visto, potrebbe essere molto più difficile da dare di quanto avremmo mai potuto pensare. Tutto quanto è successo e cui dobbiamo la nostra esistenza potrebbe davvero essere una rarità nel cosmo. La Pioneer 10 potrebbe dunque viaggiare in eterno senza essere mai trovata da qualcuno in grado di capirne l’importanza.
Amici speciali
Ovviamente qui facciamo solo speculazioni non per scoraggiare chi ha la speranza di trovare qualcuno, categoria alla quale noi stessi apparteniamo, ma per affrontare l’argomento con maggior chiarezza. Sapere attraverso cosa siamo ci permette di capire meglio dove cercare. Non solo, ci offre la possibilità anche di stimare quanto speciale siamo come specie. Se mai dovessimo riuscire a stabilire un contatto con un’altra civiltà aliena, probabilmente anche quella sarebbe il frutto di una serie di eventi straordinari e sarebbe anche questa consapevolezza reciproca ad accomunarci.
Potranno essere diversissimi, con un modo di pensare completamente alieno nel vero senso della parola, ma se la vita è così rara e quella intelligente ancora di più nell’Universo, allora questo potrebbe essere il punto di partenza per stabilire una relazione duratura e pacifica. In conclusione, i concetti fin qui espressi non vogliono in alcun modo sostituire la vera ricerca di chi si dedica concretamente all’esobiologia e all’evoluzione, né vogliono equipararsi ad essa. Prendeteli come un esercizio di fantasia, benché con una base solida e concreta.
Come Star Trek
Diversi argomenti sono stati semplificati molto per una miglior fruizione del testo, altri sono stati volutamente accantonati per non aumentare ancora e ancora le già numerose variabili affrontate nel nostro cercare di capire quanto sia possibile l’esistenza di altre forme di vita intelligente: se pensate di dover integrare il nostro divagare, non mancate di segnalarlo. Lunga vita e prosperità!