«Put on a happy face»

Non è compito di Nerdface decidere se, al Festival di Venezia, Joker meritasse o meno 8 minuti di standing ovation, o se Todd Phillips abbia il diritto, dopo 3 Notti da Leone, d’andarsene a dormire con quello d’oro al Miglior Film, insieme a Kurosawa, Monicelli e tanti altri Maestri del Cinema. Non è compito di Nerdface nemmeno convincere ad andare in sala, dopo un sonoro scappellotto, quanti hanno abbaiato che un film su Joker fosse inutile già al trapelare dalle prime immagini. Parafrasando le parole che James Gordon pronuncia in The Dark Knight, tenteremo di ragionare sul perché Joker non sia il film che meritiamo, ma quello di cui avevamo bisogno.

Sul grande schermo Joker c’è già stato tante volte. Nel 1966, sulla scia dell’enorme riuscita della spassosa (termine poco adatto alla fauna di Gotham City) serie TV, toccò a Cesar Romero aprire le danze, col suo baffetto coperto di cerone e un’attitudine che lo rendevano più simile a Gino Bramieri, che a un super criminale. Ma la formula era nota e garantiti erano il successo, prima, e l’oblio, poi. Nel 1989 è arrivato Jack Nicholson, diretto da Tim Burton: è entrato nel mito e ci ha fatto «danzare col Diavolo» di un Joker crudele, sadico, capriccioso e indimenticabile. Vestire i panni di Joker dopo di lui sarebbe potuto sembrare un azzardo; farlo dopo l’indescrivibile interpretazione di Heath Ledger un vero suicidio, che puntualmente è avvenuto con la dentiera argentata e i tatuaggi da cantante trap di un Jared Leto decisamente inferiore ai suoi predecessori, ma anch’egli in grado di fornire una sua precisa caratterizzazione del personaggio.

Le strade di Todd Phillips, desideroso di raccontare il mondo dei fumetti secondo una prospettiva diversa da quella dei cinecomic, e di Joaquin Phoenix, curioso di studiare il ruolo di un super cattivo senza essere legato al vincolo delle saghe infinite, si sono però incrociate. Ed è successo Joker: la meticolosa costruzione di un incubo, pezzo per pezzo; il lento, doloroso dipanarsi di un’esistenza tragica, dove il male interiore del protagonista e la sofferenza inflitta da un mondo spietato concorrono a generare un Joker straordinario, il terzo in ordine d’apparizione. Un altro grande Joker del Cinema. Todd Phillips attinge a piene mani da spunti, idee e perfino singole immagini di capolavori, tanto su carta, come Batman: the Killing Joke del 1988, di Alan Moore, o Batman: the Dark Knight Rises, del 1986, di Frank Miller, quanto su pellicola, come Re per una Notte, di Martin Scorsese. Confeziona una Gotham City curiosamente luminosa, meno bicromatica e claustrofobica di quella cui lettori e spettatori sono abituati, ma altrettanto cinica, violenta e sicuramente più invivibile per Arthur Fleck, pagliaccio triste, spigoloso, macilento e stralunato. Brama la celebrità, avvolto da un’opprimente alone d’indifferenza, ed è costretto a ridere sguaiatamente ogni qualvolta sarebbe meglio sparire. Malato, inadeguato e abbagliato dalle menzogne propinategli da una madre inquietante, dai colleghi di lavoro, dal suo idolo di sempre (Robert De Niro in citazione di se stesso) e definitivamente fuorviato da quelle partorite dalla sua stessa mente, Fleck scivolerà, dapprima lentamente, in un drammatico silenzio, poi in maniera sempre più tumultuosa ed eclatante, accompagnato anche da una colonna sonora disturbante e azzeccatissima, verso l’evoluzione che Gotham City e i suoi abitanti meritano e che noi non meriteremmo di guardare.

Eppure, ci serviva un film del genere, che con 55 milioni di dollari di budget, bruscolini rispetto a quello che è stato speso per le saghe dell’UCM, sa colpire più forte di un pugno di Hulk e atterrire peggio di un Guanto dell’Infinito brandito da Thanos. Un personaggio come Joker, a differenza della quasi totalità di altri personaggi del fumetto, racchiude talmente tante sfumature e possiede tante di quelle chiavi di lettura che, coi giusti presupposti, si potrebbe riproporre mille e mille volte senza sbagliare mai, o quasi. Speriamo di vederne un altro ancora, invece di lamentarci di questo Joker, perché non è quello che noi crediamo sarebbe dovuto essere. E godiamoci un Joaquin Phoenix stratosferico.