Robot senza GPS: cinque serie (quasi) mai giunte in Italia
Cinque robot perduti
Robot senza GPS
«Allora, figliolo, t’è piaciuto Mazinga?»
«Sì papà, ma non ho capito una cosa: che succedeva se Mazinga non faceva in tempo ad arrivare?»
«Figliolo, i robot che piacevano a papà arrivavano sempre al momento giusto e…»
«E se non trovavano la strada?».
Può far sorridere, ma questa eventualità s’è verificata così tante volte da poterne fare uno speciale di Chi l’ha visto?. Vuoi per piaggeria verso le star dell’immaginario collettivo come Goldrake, o per scetticismo dati i palinsesti già infestati dai robot, o per un sabotaggio da parte di Valdaster, fatto sta che un’intera armata di eroi meccanici non è (quasi) riuscita a raggiungere il pubblico italiano. Vediamo quali.
Tetsujin 28-Go
Questo, per esempio, il fato del protagonista di Tetsujin 28-Go, che può essere considerato il Big Bang dell’universo mecha. L’anime in bianco e nero del 1963, tratto dal manga di Mitsuteru Yokoyama in pubblicazione dal 1956, aveva il suo eroe in un robot disarmato e volante, capace di combattere corpo a corpo.
Sprovvisto di pilota interno, era telecomandato da remoto. Se è vero che la serie fu poi trasmessa in Italia dopo il restyling del 1980, col titolo di Super Robot 28, rimane il fatto che, almeno su Fuori orario, se ne sarebbe potuto vedere qualche estratto originale, almeno per il rispetto dovuto agli archetipi.
Daitetsujn 17
E che dire di Daitetsujn 17? Visto il successo leggendario di Megaloman, suo coetaneo cugino punkettone, questa serie tokusatsu della Toei avrebbe potuto facilmente imporsi all’attenzione del sensibile pubblico italiano. Ma il fato avverso ci ha impedito di godere dei suoi discreti effetti speciali e dell’efficacia di una storia simile a quella di Tetsujin 28-Go.
Brain, un’intelligenza artificiale sfuggita al controllo umano, sfrutta un esercito di robot per conquistare la Terra. Gli si oppone un ragazzo il quale, grazie a un grottesco casco gigante, trova il modo di servirsi di Daitetsujn 17, il più potente dei robot di Brain.
Oltre alle consuete armi e ai mezzi di sostegno celati nel corpo, questo robot aveva la sigla cantata da Ichirou Mizouki, il Nico Fidenco del Sol Levante. In America gli episodi furono tagliati e cuciti insieme, per dare vita ad alcuni lungometraggi, che ne hanno alimentato il ricordo fino ai nostri giorni.
Orguss
Un altro caso singolare è quello di Orguss, membro originale della trilogia di Super Dimension, la cui prima è terza parte servirono a mettere insieme quel mostro di Frankenstein di Robotech, relegando il povero Orguss all’oblio. Oggi, grazie alla rete, è facile rintracciarne degli episodi e, per quelli che lo ricordano, colpisce la familiarità di stili grafici e design dei mezzi di combattimento, che fecero il successo di Robotech.
E anche se questa bistrattata serie arrivò in Italia in VHS verso la metà degli anni ’90, c’è da dire che, nel marasma di merchandising che invase il nostro mercato, alcuni bambini incapparono in sinistre versioni dei noti aerei Valkyrie che, pur trasformandosi in robot, celavano una strampalata testa insettiforme sotto l’elmo, incrementando le perplessità del giovane pubblico d’allora, lontano anni luce dall’oracolo di Google.
Gyakuten
Direttamente dal mondo della Tastunoko viene, o meglio, non è venuto il Gyakuten, robot guerriero della serie Ippatsuman. Questo ennesimo capitolo delle Time Bokan, o macchine del tempo, cui appartengono tra gli altri Yattaman e Calendar men, manteneva la medesima struttura delle sorelle, coi cattivi mattatori della scena.
Il robot Gyakuten ha fatto la conoscenza del pubblico nostrano quando, in occasione della sfida crossover tra tutti i cattivi delle macchine del tempo, nell’epico doppio speciale del 1993, fu chiamato a combattere contro King Star. I due paladini, simili per forza e tenacia, dopo essersi affrontati colpo su colpo, finivano per incapricciarsi l’uno dell’altro, per poi tornare alla consueta moralità al momento di punire i malvagi, che li avevano manovrati per i loro loschi fini.
Yuusha Raideen
Vale infine la pena di spendere due parole su Yuusha Raideen, prodotto dalla Sunrise nel 1976, e prima serie mecha di quel Tomino che sarebbe poi divenuto papà di Mobile Suit Gundam. Dopo un sonno millenario, le truppe dell’ennesimo impero del male si destano per devastare il mondo.
Reagendo alla loro presenza, il possente Raideen, in letargo in una piramide, convoca attraverso mistici richiami un ragazzo per farne il suo pilota. Per la prima volta la vicenda si richiama a tematiche esoteriche, così come fa la sua comparsa la prassi del colpo finale che, con esaltazione, avrebbe poi chiuso tutti i combattimenti di questo genere come un amen fiammeggiante.