The mentalist: le peculiarità di un altro Fonzie del crimine
The mentalist
«La verità è mia».
Titolo originale | The mentalist |
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Lingua originale | inglese |
Paese | USA |
Anni | 2008-2015 |
Stagioni | 7 |
Episodi | 151 |
Durata | 42 minuti a episodio |
Genere | Crime |
Prima puntata | 23 Settembre 2008 |
Uscita italiana | 2 Settembre 2009 |
Another cup of tea
The mentalist: sulla carta ci troviamo di fronte a un classico esempio di Guerra dei Cloni. Non abbiamo i Temuera Morrison in armatura bianca, che quando sparano non acchiappano mai, ma un’altra serie investigativa che, come le formiche nelle dispense, da decenni contribuisce ad affollare i teleschermi di mezzo mondo, senza speranza di potersene liberare.
Il classico Police Precedural
The mentalist, infatti, rispetta con rigore tutti i requisiti del Police Procedural: una squadra variopinta e ben caratterizzata, un capo tosto, blasonato ma non privo delle sue fragilità nascoste, una lunga serie di crimini intricati e spesso seriali, ma soprattutto lui, il Fonzie della situazione.
L’elemento fuori dal comune
Avete presente quell’elemento assolutamente fuori dal comune, strambo, urticante, inavvicinabile, che leva gli schiaffi dalle mani di tutti ma che ha anche dei difetti e senza il quale ogni indagine andrebbe a finire come quelle sulle stragi italiane? Ecco, lui. Quanti ne abbiamo visti di personaggi del genere? Quante le stelle nel firmamento?
A partire da antesignani illustri, come Angela Lansbury e Peter Falk in Colombo, fino ad arrivare ai più recenti Tim Roth di Lie to me, Emily Deschanel di Bones o Matthew GrayGubler e il suo sguardo sveglio in Criminal minds, ogni squadra investigativa è funestata dal proprio genialoide eccentrico. Anche sir Arthur Conan Doyle ha visto il piacere della rivisitazione del suo Sherlock Holmes, nell’adorabile e molesto sociopatico di Benedict Cumberbatch. C’è poco da fare: agli spettatori di polizieschi e non (ci dicono qualcosa Sheldon Cooper e Steve Urkell?) il tipo curioso piace, purché resti confinato dentro una storia, dietro uno schermo.
Il Fonzie del crimine
In The mentalist, Patrick Jane rientra a pieno titolo nei canoni dei Fonzie del crimine: ex finto sensitivo truffatore, ora usa il proprio dono, ovvero le sue eccellenti doti d’osservazione, intuito e deduzione, nonché la sua impareggiabile faccia da schiaffi, in qualità di consulente esterno del California Bureau of Investigation, che tanto gli è grato da assegnargli la solita squadra di malcapitati che lo supportino e sopportino nel corso delle indagini.
Nessuna redenzione
Questa svolta epocale nella vita di Patrick non è determinata dalla scoperta delle sue malefatte, né da un’improvvisa voglia di redenzione: a far crollare il suo mondo è la sua stessa hybris, che lo spinge a sfidare in diretta TV il pericoloso omicida seriale noto come Red John e a ritrovarsi a piangere sui cadaveri di moglie e figlia, massacrati per tutta risposta, come da copione.
Niente di nuovo sotto il Sole, apparentemente. Ma Bruno Heller, creatore e sceneggiatore di The mentalist, noto già per il suo dichiarato amore per storia e miti di città, come Roma o Gotham, non s’accontenta di scodellarci il solito minestrone di delitti, indagini e colpi di scena, ma tenta, facendo almeno parzialmente centro, d’arricchire l’iter narrativo e focalizzare l’attenzione anche su elementi di solito più che marginali in contesti del genere partendo, incredibile ma vero, proprio dal suo Fonzie.
Il volto perfetto di Simon Baker
Patrick Jane è «uno che ruba anche la Luna»: parola per parola, il Grande figlio di puttana cantato dagli Stadio. E la faccia di bronzo che gli presta Simon Baker è semplicemente perfetta. È anche un uomo travagliato: consumato dal senso di colpa per aver provocato la morte dei suoi cari e roso dal sentimento di vendetta verso chi lo ha battuto al suo stesso gioco.
Un finale per nulla scontato
Quando, dopo 6 stagioni e 124 episodi, in cui il titolo contiene sempre un riferimento al colore rosso, Patrick incontra finalmente Red John e porta a termine la sua missione, però, il sipario non cala come tutti ci aspetteremmo. La storia di Patrick Jane non s’esaurisce alla resa dei conti di fronte alla sua nemesi, ma prosegue, fino al raggiungimento di un traguardo anomalo per personaggi del genere: fare pace col proprio passato e abbracciare un futuro forse banale e prevedibile, ma piuttosto raro da ottenere per individui del genere.
Questo esperimento ci convince? Più no che sì. La formula è collaudata ma solida, con spunti innovativi e risvolti inaspettati. Simon Baker è indubbiamente molto bravo e ci regala un mentalista che affianca alle caratteristiche tipiche del genialoide una simpatia e un garbo rari e più che apprezzabili. Anche il reparto comprimari, con Robin Tunney e Tim Kang in pole position (notevole anche Amanda Righetti, ma più per il décolleté), regge bene sia l’interazione col protagonista, che l’innestarsi delle varie sottotrame.
Un doppio binario
Purtroppo, a svilire un prodotto altrimenti pregevole, c’è la scelta di strutturare l’impianto narrativo su un doppio binario, diluendo lo sviluppo della trama principale in una brodaglia di episodi slegati tra loro e, talvolta, assolutamente insipidi. La proporzione è di circa 5 puntate su oltre 20 per stagione: decisamente troppo, anche per il sorriso sornione di Simon Baker. Peccato.
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Titolo originale | The mentalist |
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Lingua originale | inglese |
Paese | USA |
Anni | 2008-2015 |
Stagioni | 7 |
Episodi | 151 |
Durata | 42 minuti a episodio |
Genere | Crime |
Prima puntata | 23 Settembre 2008 |
Uscita italiana | 2 Settembre 2009 |